venerdì 30 marzo 2012

ANCORA POLEMICHE SULLA RIABILITAZIONE DI DRAŽA MIHAILOVIĆ

Belgrado, marzo 2012: un murale in
onore di Draza Mihailovic (Beta)
Il tema controverso della possibile riabilitazione del generale dei cetnici della Seconda guerra mondiale, Draža Mihailović, vale a dire il processo che e' in corso a Belgrado su richiesta di suo nipote e di alcune organizzazioni di sostenitori, continua a destare attenzione nella regione.
In una intervista per il quotidiano di Belgrado “Danas” l'europarlamentare sloveno e relatore del Parlamento Europeo per la Serbia, Jelko Kacin, precisa che una possibile riabilitazione del leader cetnico rappresenterebbe per la Serbia un passo opposto dalla direzione verso l'Ue.
“Ritengo sia importante che nel PE seguiamo con attenzione questo processo. Come relatore del PE, mi preoccupa innanzitutto l'evidente tentativo di cambiamento del sistema dei valori. L'Europa dopo la guerra fu costruita sui valori dell'antifascismo, mentre la riabilitazione di Draža Mihailović rappresenta un passo nella direzione opposta”, ha detto Kacin spiegando che si tratta del capo del movimento collaborazionista e che la sua riabilitazione può soltanto provocare danni all'immagine della Serbia. Kacin ha sottolineato che una tale mossa potrebbe creare relazioni negative con i Paesi vicini che sono stati “vittime dell'ideologia cetnica”.
Alla domanda se Zagabria, a causa di una eventuale riabilitazione di Mihailović, potrebbe creare problemi al processo di integrazione europea della Serbia, Kacin ha risposto che questo si vedrà nel prossimo periodo, ma ha aggiunto che si dovrebbe rinunciare al tentativo di riabilitazione per il bene dei cittadini della Serbia e per l'affermazione dei valori europei e non a causa di possibili reazioni da parte della Croazia o di qualsiasi altro Stato.
Secondo l'europarlamentare sloveno, si sta abusando della nuova legge serba sulla riabilitazione: la sua base, ha precisato Kacin, è quella di togliere la responsabilità collettiva da certi gruppi nazionali come anche dalle vittime dei regimi comunisti. “Draža Mihailović è il simbolo dello sciovinismo e dei crimini di guerra commessi in nome della Grande Serbia”, ha concluso Kacin ribadendo che la Serbia deve tenersi lontana da questo tipo di tentativi.

Marina Szikora - Corrispondente di Radio Radicale

giovedì 29 marzo 2012

LA VOJVODINA DIVENTERA' REPUBBLICA?

In vista delle del 6 maggio, alcune organizzazioni non governative, partiti politici e singoli cittadini della Vojvodina, la regione della Serbia con capoluogo Novi Sad, hanno lanciato un'iniziativa chiedendo il sostegno dell'opinione pubblica per la trasformazione della Serbia in uno stato federale formato da due entità indipendenti: la Repubblica di Serbia e la Repubblica di Vojvodina.

Di Marina Szikora[*]
Il concetto dell'autonomia e' consumato e devastato e per questo e' necessario un nuovo accordo storico tra Serbia e Vojvodina sulla ricostruzione dello stato, secondo il quale la futura Repubblica federale Serbia sarebbe composta con pari diritti dalle unita' federali, Repubblica Serbia e Repubblica Vojvodina, hanno dichiarato ad una conferenza stampa i promotori di questa idea, Živan Berisavljević e Đorđe Subotić. Per il prossimo primo aprile e' annunciata la convenzione alla quale si dovrebbe chiedere il sostegno pubblico alla dichiarazione la cui base sarebbe ll'unificazione democratica della Vojvodina e Serbia. Tra quelli che appoggiano quest'idea, secondo i media vojvodinesi, ci sono il Club vojvodinese, il Comitato Helsinki, l'Associazione indipendente dei giornalisti, il Partito vojvodinese, la Lega degli ungheresi di Vojvodina, il Partito montenegrino, la Lega dei Croati in Vojvodina.
L'iniziativa ha suscitato reazioni di vandalismo del movimento estremista 'Nostri' il quale ha risposto bruciando la bandiera di Vojvodina a Zrenjanin volendo dimostrare cosi', come hanno detto, la posizione del popolo serbo relativo alla proposta della formazione della Repubblica Vojvodina. Hanno invitato i cittadini di aderire alla distruzione "dei simboli separatisti anticostituzionali". Il presidente del Consiglio comunale di Zrenjanin, Aleksandar Marton ha condannoto l'atto degli estremisti ricordando che la Costituzione serba garantisce l'autonomia della regione Vojvodian che ha i suoi simboli e il parlamento della Vojvodina ha stabilito legittimamente l'uso dello stemma e della bandiera regionale. Marton ha condannato l'atto vandalistico degli estremisti ritenendo che tutti quelli che sono capaci di bruciare la bandiera di Vojvodina, sono capaci di continuare a rovesciare l'ordinamento costituzonale con atti di odio e violenza.
Va detto anche che alcuni giorni prima di rendere pubblica questa idea, il leader della Lega socialdemocratica della Vojvodina, Nenad čanak ha proposto che la Vojvodina abbia la sua polizia. Questa richiesta e' stata motivata con la grande crescita di criminalita', saccheggi e uccisioni nelle citta' e nei villaggi vojvodinesi. Nei mesi e negli anni precedenti, ci sono state altre idee dei politici di questa regione che chiedevano maggiore autonomia della Vojvodina rispetto a Belgrado. Si e' indicato il costante impoverimento della Vojvodina che nell'ex Jugoslavia era una delle regioni maggiormente sviluppate.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

BOSNIA: PER DODIK LA DISGREGAZIONE NON E' UNA TRAGEDIA

Di Marina Szikora[*]
La Serbia e' impegnata nel lobbing per la candidatura del suo ministro degli esteri alla carica di presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La vicina Croazia ha gia' fatto sapere che appoggera' la candidatura del suo concorrente, il candidato della Lituania. Ma il presidente della Republika Srpska, l'entita' a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina, Milorad Dodik, afferma in questi giorni che per la RS sara' intollerabile se la BiH non appoggera' il ministro degli esteri della Serbia Vuk Jeremić. Questa nomina e' una questione politica di primo grado per la RS ha spiegato Dodik alla stampa incontrando Jeremić nel capoluogo della RS Banjaluka. Secondo Dodik, se manchera' l'appoggio della BiH alla candidatura di Jeremić questo significhera' che la BiH non rispetta la RS. Jeremić da parte sua ha qualificato l'entita' serba della BIH come "una locomotiva del processo europeo in BiH" assicurando che la Serbia appoggiera' la RS e la BiH in questo processo.


Per quanto riguarda la BiH come paese unico e sovrano, in questi giorni il presidente della RS Milorad Dodik ritorna con il discorso della disgregazione del paese. Secondo Dodik "gli sforzi della comunita' internazionale di centralizzare la BiH hanno avuto insucesso e il paese rischia di disgregarsi se i suoi popoli non raggiungeranno un accordo". La disgregazione della BiH, ritiene pero' Dodik, non dovrebbe essere una tragedia. E' sua intenzione inoltre di sollevare una accusa penale in Austria nei confronti dell'alto rappresentante della comunita' internazionale Valentin Inzko quando finira' il suo mandato in BiH, informa la RTRS: "Valentin Inzko doveva da tempo tornare a casa. Spero che a casa gli sara' piu' bello che in BiH. Non credo che lui sia un uomo cattivo, ma non e' un buono alto rappresentante. Ha imposto le leggi" ha osservato Dodik per il gornale di Vienna 'Die Presse'. "Quello che hanno fatto gli alti rappresentanti e' in contrasto con l'Accordo di Dayton. Hanno destituito i rappresentanti democraticamente eletti e per questo non hanno avuto le competenze" ritiene Dodik spiegando che gli stessi alti rappresentanti hanno inventato da soli le competenze speciali di cui si sono dotati. "Le soluzioni bisogna trovarle all'interno della BiH con la partecipazione di tutti i popoli e non devono esservi imposte soluzioni dall'esterno" ha affermato il presidente della RS. Secondo Dodik l'ufficio dell'Alto rappresentante (OHR) doveva da tempo essere chiuso perche' la BiH, questa la sua opinione, non ha bisogno della sua presenza.


Parlando invece dell'ufficio di rappresentanza della RS che giovedi' scorso e' stato aperto a Vienna, Dodik ha sottolineato che la RS non e' soddisfatta di come gli interessi della RS sono rappresentati dai diplomatici della BiH all'estero. Ha rilevato che "l'Occidente negli ultimi due decenni ha commesso ingiustizie nei confronti dei serbi" aggiungendo che i serbi sono stati sotonizzati e continuano ad essere umiliati, sia quelli della Serbia che quelli della RS. Le forze occidentali, ha proseguito il presidente della RS, hanno riconosciuto il Kosovo per umiliare la Serbia. Secondo le sue parole, la comunita' internazionale si e' servita dello stesso "racconto" relativo al conflitto dei popoli e l'impossibilita' di una vita comune sia in Kosovo che in BiH. Dodik ha ripetuto che la RS non appoggia l'indipendenza del Kosovo e che Belgrado e' anche la capitale dei serbi della BiH.


[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

SERBIA: COMINCIA IL LUNGO PROCESSO DI ADESIONE ALL'UNIONE EUROPEA

E in attesa della data di inizio dei negoziati si scalda la campagna per le elezioni del 6 maggio

Di Marina Szikora[*]
Dopo l'attribuzione dello status di candidato per l'adesione all'Ue, Belgrado si prepara pre la prima fase del processo di negoziati con la Commissione europea. Secondo il presidente del Sottogruppo per la giustizia e diritti fondamentali del Gruppo di esperti del coordinamento per l'adesione all'Ue, Slobodan Homen, la Commissione europea dimostra chiaramente di contare con la Serbia e afferma che dopo lo status Belgrado entra nella fase dei negoziati. Si e' detto credulo che in breve tempo riusciranno ad entrare anche nella fase successiva delle integrazioni europee che in un termine visibile portera' all'ingresso della Serbia nell'Ue. Secondo le sue parole, dopo aver ottenuto lo status di candidato, la Serbia e' in una posizione molto migliore quando si tratta della questione degli investimenti stranieri e della promozione di tutti i valori per i quali la Serbia da lungo tempo si sta impegnando. Homen ha spiegato che con l'ingresso nell'Ue la Serbia puo' contare con nuovi investimenti e nuovi posti di lavoro, sviluppo di piccole e medie imprese, sviluppo delle infrastrutture, soldi dei fondi di preadesione ecc.
Va detto che i preparativi per i negoziati, il cosidetto screening si sta svolgendo a Bruxells dal 26 al 30 marzo e include le analisi delle regole nonche' l'illustrazione dei problemi chiave. In base a queste analisi, l'Ue scegliera' le questioni di cui discutera' con la Serbia. Si sa di gia' che quando iniziera' il processo di negoziati della Serbia con l'Ue si partira' dai capitoli 23 e 24 ralativi al funzionamento dello stato di diritto e protezione di diritti umani e di minoranze, migrazione legale e illegale, diritto all'asilo, collaborazione giudiziaria in questioni civili, commerciali e penali, collaborazione con gli organi giudiziari, doganali e di polizia nella lotta contro la criminalita' organizzata. Nell'ambito di questi capitoli si trova anche la lotta contro il traffico di droghe ed esseri umani, denaro sporco, criminale economico e altotecnologico, mandati di cattura europei e processo di estradizione, sequestro di patrimonio aquistato per via della criminalita', formazione di team investigativi congiunti nonche' la collaborazione con Europol ed Eurojust.

Cedo Jovanovic: la Serbia ha bisogno di nuovi valori e di una nuova responsabilità
Con le elezioni politiche, locali e regionali indette per il prossimo 6 maggio, si fa sempre piu' calda la campagna elettorale in Serbia. Il leader del Partito liberaldemocratico e del movimento 'Svolta' Čedomir Jovanović sottolinea che la campagna dei partiti che incitano alla guerra degli uni contro gli altri e' molto brutta. Jovanović punta sul "troppo veleno in Serbia" e avverte che e' necessario quel tipo di responsabilita' alla quale, secondo la sua opinione, non sono pronti ne' il presidente Tadić ne' il suo principale avversario Tomislav Nikolić. Jovanović ha detto che la versione sia dell'una o dell'altra Serbia in cui si dovrebbe vivere secondo le regole o del Partito Democratico oppure di quello del Partito serbo del progresso non e' quello che si dovrebbe acconsentire. "Per questo ci presentiamo davanti alla gente con il messaggio della grande svolta. In questo lavoro naturalmente c'e posto per tutti, ma e' chiaro che la lidership e' in effetti la qualifica della nostra politica, lo e' stata sempre e noi questa responsabilita' siamo pronti ad assumere" ha detto Jovanović. Ha avvertito che la Serbia non diventera' migliore da un giorno all'altro. Ma un paese moderno, efficace e di successo si puo' creare se si condividera' una visione comune, ha sottolineato il leader liberaldemocratico serbo e della coalizione Svolta. "In questa Serbia c'e' posto per tutti ma essa deve basarsi su valori diversi, devono regnarci diverse regole di vita, quelle che obbligano alla responsabilita' politica le persone che guideranno il paese" ha sottolineato Čedo Jovanović.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale.
La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a tutte quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 28 marzo 2012

CHI SI RICORDA DELLA "KATER I RADES"?

Il relitto della Kater I Rades
La Kater I Rades era una vecchia motovedetta albanese in disuso, una carretta del mare. Quindici anni fa, il 28 marzo 1997, la corvetta Sibilla della Marina militare italiana la fece affondare provocando la morte di più di un centinaio di persone, soprattutto donne e bambini. Era un venerdì santo e con questo nome, la “strage del venerdì santo”, la tragedia viene anche ricordata (da chi se ne ricorda). Nel 1997 l’Albania attraversava una crisi difficilissima: il crack delle società finanziarie piramidali aveva bruciato in pochi mesi i risparmi di moltissimi albanesi, lasciando sul lastrico migliaia di famiglie illuse dal miraggio di arricchirsi molto ed in poco tempo. La situazione politica interna precipitò fino al rischio di una guerra civile, ci furono anche scontri armati e alcuni morti. Molti albanesi decisero di lasciare il Paese per cercare miglior fortuna all’estero e l’Italia divenne la meta privilegiata di questo esodo. Le autorità italiane avevano deciso, in quell’anno, di far pattugliare l’Adriatico alle unità della nostra marina militare per fermare l’immigrazione clandestina e operare una sorta di “blocco navale” che in molti giudicarono in contrasto con il diritto internazionale. Il 25 marzo del ’97 Roma e Tirana stipularono un accordo che autorizzava il nostro Paese, in cambio degli aiuti promessi al governo albanese, a fermare gli emigranti clandestini anche in acque territoriali albanesi. L’accordo sarebbe dovuto entrare in vigore il 3 aprile.

La Kater I Rades salpò alle tre del pomeriggio del 28 marzo 1997 dal porto di Valona: su una imbarcazione costruita 35 anni prima per un equipaggio di nove marinai si stiparono più o meno in centoquaranta persone, tra cui intere famiglie con molte donne e molti bambini. Poco dopo aver doppiato il capo dell’isola Karaburun, la Kater fu intercettata dalla fregata italiana Zeffiro che le intimò di invertire la rotta e tornare verso la costa albanese. La Kater però ignorò l'ordine e proseguì verso la navigazione verso la Puglia. Verso le 17.30 la Zeffiro fu rilevata da un’altra unità italiana, più piccola e più adatta a manovre di intercettazione, la corvetta Sibilla. La tragedia avvenne attorno alle 19. Come sempre in questi casi le testimonianze divergono. Secondo alcuni sopravvissuti la Sibilla, dopo essersi molto avvicinata e dopo aver intimato ancora una volta senza successo agli occupanti di tornare indietro, avrebbe puntato direttamente sulla Kater I Rades fino a speronarla. Secondo la Marina militare italiana invece la collisione sarebbe stata provocata da alcune virate sconsiderate compiute dal comandante della Kater. Le testimonianze dei sopravvissuti indicano che la motovedetta albanese sarebbe stata colpita due volte. Al primo urto diverse persone furono sbalzate fuoribordo, mentre al secondo la Kater si rovesciò imprigionando la maggior parte degli occupanti sottocoperta. L’affondamento avvenne alle 19.03.

Secondo le ricostruzioni che è possibile reperire facendo una ricerca su Internet, alle 17.15 del 28 marzo 1997 la Zeffiro avvistò la Kater informando l’ammiraglio Alfeo Battelli, all’epoca comandante del Maridipart di Taranto (il centro che coordina le attività di pattugliamento in Adriatico) e l’ammiraglio Umberto Guarnieri, capo di Stato maggiore della Marina e comandante in capo del Cicnav, la sala operazioni nazionale di Roma. Più tardi, come abbiamo detto, nell’operazione subentrò la corvetta Sibilla. Il capitano Angelo Luca Fusco, in servizio all’ufficio operativo del Maridipart di Taranto, tenne i contatti tra le navi militari in mare e i comandi. Fusco trasmise le disposizioni dei comandi che ordinavano ai comandanti della Zeffiro e della Sibilla di fermare la Kater. La Zeffiro riferì quindi di avere iniziato “un’operazione di harrassment sul bersaglio albanese” vale a dire una decisa azione di disturbo. Pochi minuti dopo alla Zeffiro arrivò l’ordine di compiere un’azione più decisa, “anche fino a toccare il bersaglio”. Nella sua deposizione il capitano Fusco parlò di una riunione per concordare il comportamento da tenere nei confronti dell’inchiesta della magistratura, tenutasi nell’ufficio dell’ammiraglio Battelli sei giorni dopo la tragedia, il 3 aprile, e alla quale parteciparono tutti i militari che nel pomeriggio del 28 marzo si trovavano nella sala comando. Si tratta di una circostanza quanto meno interessante ma secondo il pm mancava la prova certa della connessione tra il Cicnav e la Sibilla, non c’erano cioè elementi sufficienti per accusare l’ammiraglio Guarnieri.

Va altresì detto che l’ammiraglio Alfeo Battelli ordinò di svolgere un’inchiesta per accertare le cause del disastro. L’indagine, che fu affidata all’ammiraglio Coviello, concluse che la collisione tra la Sibilla e la Kater I Rades aveva avuto una funzione di “concausa” dell’affondamento e individuò la vera causa nell’improvviso spostamento dei pesi a bordo, cioè dei movimenti degli emigranti albanesi che si trovavano sulla vecchia motovedetta. Il ministero della Difesa, all'epoca guidato da Beniamino Andreatta, in un comunicato diede una versione dei fatti sostanzialmente analoga a quella delle autorità militari: la Marina aveva avvistato la Kater già all’uscita dal porto di Valona, nonostante l’alt l’imbarcazione albanese aveva proseguito sulla sua rotta ed era così entrata in azione la Sibilla che, dopo un inseguimento, aveva costretto il comandante albanese ad una serie di manovre azzardate che avevano portato alla collisione che aveva provocato l’affondamento della Kater. Una versione che coincide con quella del comandante della Sibilla, Fabrizio Laudadio, il quale sostenne di essersi portato due volte a portata di megafono, a una distanza fra i dieci e i 25 metri, a dritta della Kater, per intimare il dietrofront. L’incidente si sarebbe verificato nel secondo tentativo a causa di una manovra sconsiderata della motovedetta albanese che virando a dritta si venne a trovare davanti alla prua dell’unità italiana. Entrambe le versioni, quella della Marina e quella del Governo, contrastano però con quella fornita dai superstiti del naufragio.

Nell’aprile del 1998 al termine delle indagini il sostituto procuratore di Brindisi, Leonardo Leone de Castris, chiese e ottenne l’archiviazione dell’inchiesta “nella convinzione di aver ricercato la verità in ordine alle cause di questa tristissima vicenda, in ogni angolo e in ogni documento esaminato e in ogni testimonianza vagliata, non rimane che arrestarsi, così come il ruolo impone, davanti a un’arida valutazione di inidoneità degli elementi raccolti all’esercizio dell’azione penale”. Il magistrato dichiarò cioè di non essere stato messo in grado “di valutare l’incidenza degli ordini impartiti ai comandanti delle due navi impegnate (Sibilla e Zeffiro) dai comandi a terra”, parlò di manomissione di prove fotografiche e del fatto che “il filmato girato a bordo della fregata Zeffiro si interrompe inspiegabilmente, con ciò destando non pochi sospetti, proprio nel momento in cui è inquadrata la prua della nave Sibilla che si avvicina minacciosamente alla nave albanese”. De Castris scrisse che le registrazioni radio tra le navi impegnate nell’operazione e tra queste e i comandi di terra nel lasso di tempo in cui avvenne la collisione e poi l’affondamento della Kater I Rades, “sono scarsamente intelligibili o si riferiscono a momenti temporalmente diversi da quello utile” e inoltre che non sarebbero state rese disponibili le comunicazioni su frequenza criptata usata negli ultimi momenti prima del naufragio. Sono affermazioni gravi che lasciano intendere che la responsabilità dell’accaduto non poteva essere addebitata solo ai comandanti delle due imbarcazioni e che da parte delle autorità militari italiane sarebbe stato opposto un “muro di gomma” per impedire la ricostruzione esatta di cosa avvenne quel venerdì santo del 1997.

A Brindisi nessun esponente del Governo rese omaggio alle vittime: non ci andò l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi, non ci andò il ministro della Difesa Andreatta, non il ministro degli Esteri Lamberto Dini e nemmeno il ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano. In compenso arrivò Silvio Berlusconi che versò lacrime di circostanza ad uso delle telecamere e si offrì di ospitare a sue spese tutti i superstiti che però declinarono l’offerta e chiesero piuttosto che si pensasse al recupero dei morti. Nessun rappresentante italiano presenziò nemmeno ai funerali in Albania, per i quali, peraltro, si dovettero attendere sei mesi dato che solo in ottobre fu concesso il via libera al recupero della Kater che giaceva su un fondale a 800 metri di profondità. Il relitto mostra in effetti i segni di due colpi sulla fiancata, come dichiarato dai superstiti. La perizia ordinata dal Tribunale e di cui fu incaricato l’ingegnere Dell’Anna confermò la collisione tra le due imbarcazioni ma ne attribuì la causa alla “interazione idrodinamica” che si produrrebbe in certe circostanze di mare e di vento, tra una nave di grandi dimensioni e una nave molto più piccola e che renderebbe quest’ultima ingovernabile.

Sono passati quindici anni dal naufragio e non si può certo dire che le vittime e i loro familiari abbiano avuto giustizia. Io non credo che l’affondamento della Kater I Rades possa essere attribuito ad una decisione premeditata: sarebbe un vero e proprio atto di pirateria. Non posso credere che sia stato ordinato ad una nostra nave di affondare una carretta piena di disperati e che l’ordine sia stato eseguito. Penso piuttosto che si sia trattato dell’esito finale, tragico e sicuramente evitabile, di una catena di eventi legata all'imperizia di alcuni, al clima politico di quei giorni e all’uso che veniva fatto della questione immigrazione. Sta di fatto che la collisione ci fu, un’imbarcazione affondò, un centinaio di persone morirono annegate e le loro famiglie e i sopravvissuti fino ad oggi non hanno avuto giustizia. Pensare che nessuno abbia voluto deliberatamente ammazzare un centinaio di migranti albanesi non significa non avanzare qualche dubbio lecito su quello che è successo e soprattutto su come ce lo è stato raccontato. In questa vicenda non mancano i silenzi, le ambiguità, i ritardi che caratterizzano tanti altri eventi oscuri della storia italiana. In attesa che chi di dovere cancelli finalmente ombre e sospetti, sarebbe già qualcosa se qualche autorità italiana si ricordasse ogni tanto di quelle donne, di quegli uomini e di quei bambini che cercavano solo un’esistenza un po’ migliore a qualche decina di chilometri da casa loro e invece sono finiti sul fondo dell’Adriatico insieme a tutte le loro speranze. [RS]

Questo post è un adattamento con alcune modifiche di un testo "Chi si ricorda della Kater I Rades", pubblicato il 4 aprile 2007 in occasione del decennale della "strage del venerdì santo", quando questo blog era ospitato sulla piattaforma de Il Cannocchiale.
Clicca qui per vedere il testo originario.

sabato 24 marzo 2012

GRECIA: I MEDIA NELLA MORSA DELLA CRISI

Prima della crisi la Grecia era per i giornalisti un piccolo "paese della cuccagna": 11 canali televisivi nazionali e oltre 100 locali, 71 stazioni radio nazionali e oltre 300 regionali, più di 20 quotidiani nazionali - otto dei quali sportivi, un record mondiale - e un numero incalcolabile di periodici. Tutto questo in un Paese di 11 milioni di abitanti. La crisi che ha travolto la Grecia sta ora colpendo duramente anche il mondo dell'informazione e si moltiplicano le chiusure anche tra le maggiori testate del Paese: dopo il fallimento dello storico Apogevmatini, molte altre testate sono in bancarotta. Eleftherotypia da mesi non paga gli stipendi ai suoi 135 giornalisti e ha portato i libri in tribunale. Stessa sorte per piccoli giornali e tv.

Atene, 18 marzo - Buoni stipendi e generose pensioni assicuravano ai professionisti dei media uno status sociale davvero invidiabile. Anche in questo settore, però, c'è un prima e un dopo: e il dopo - ovvero l'oggi - vede senza lavoro il 30 per cento dei giornalisti professionisti mentre si allunga la lista delle testate che hanno cessato le pubblicazioni, a iniziare dallo storico Apogevmatini, chiuso allo scoppio della crisi nel novembre 2010, nonostante fosse di proprietà del gruppo Sarantopoulos. Stesso destino per il settimanale economico Kosmos tou Ependyti, che aveva visto la sua diffusione ridursi al contagocce.
E per quelli che ancora vanno in edicola, la situazione non è migliore: il secondo giornale più diffuso del Paese, Eleftherotypia, non riesce a pagare i suoi 135 giornalisti dallo scorso agosto e la proprietà ha presentato istanza di fallimento al tribunale di Atene, lamentando debiti per oltre 50 milioni di euro. Stessa situazione in piccoli giornali come Avriani, Express, Xenios, Epikinonia, Kitrinomavri Ora, o nella tv privata Alter, dove centinaia di persone non hanno ricevuto buste paga negli ultimi sei mesi.
Per quanti ancora ricevono uno stipendio, peraltro, incombono misure d'austerità davvero draconiane. Il sindacato dei giornalisti ha denunciato come gruppi editoriali come la tv SKAI o il giornale Ethnos stiano incalzando i loro dipendenti per rinegoziare i contratti di lavoro con tagli salariali fino al 30 per cento. E c'è chi va oltre, come spiega una giornalista economica, che preferisce rimanere anonima, il cui datore di lavoro "chiede che i nostri stipendi vengano ridotti di quasi la metà a 450 euro al mese".
Le cose non vanno meglio neppure nei media statali, dove i licenziamenti hanno colpito i lavoratori della televisione e della radio NET oltre alla agenzia di stampa Amna, mentre gli altri hanno sperimentato un taglio delle buste paga del 25 per cento in linea con quello effettuato agli altri dipendenti del settore pubblico. Ma non è solo una questione di posti di lavoro e stipendi. Come spiega Dimitris Trimis, presidente dell'ESIEA, il sindacato dei giornalisti greci, il rischio è che la crisi finisca con il limitare il diritto dei cittadini all'informazione. "Non siamo le sole vittime della crisi, ma la società sarà danneggiata da questa carenza di informazione" ha detto alla Dpa. "Ci stiamo dissanguando, assistiamo a un numero crescente di giornalisti che lavorano come free-lance, con salari bassissimi e nessuna tutela", aggiunge, ricordando come il sindacato abbia offerto più di 340.000 euro in aiuti e cibo ai colleghi dall'inizio della crisi. "Teoricamente, vorrei essere là fuori a riferire sulla crisi economica, e invece mi tocca aiutare altri giornalisti, come me, che sono finiti vittime della crisi" osserva. (Da un lancio dell'agenzia ADNKRONOS pubblicato sul sito della Federazione Nazionale della Stampa Italiana http://www.fnsi.it/)

KOSOVO: LIBERTA' DI STAMPA SOTTO TIRO

Le minacce e agli attacchi contro i giornaisti e la libertà di stampa non sono una novità in Kosovo. Non a caso Transparency International pone il Paese agli ultimi posti della classifica. Sottoposti alle pressioni dei politici e dei gruppi criminali molti organi di informazione preferiscono autocensurarsi o diventare portavoce del potere. Qui di seguito un articolo di Serbeze Haxhiaj pubblicato oggi da Courrier du Kosovo/Courrier des Balkans (la traduzione è nostra da quella in francese di Belgzim Kamberi).

Kosovo: tiro al bersaglio sui giornalisti e libertà di espressione

Fatmire Tërdevci sta ancora soffrendo per le ferite. Raggiunta sette anni fa da diversi colpi di kalashnikov, sembra che le sue ferite non si siano chiuse così rapidamente come l'inchiesta sull'attentato di cui fu vittima. La giornalista aveva sconvolto l'opinione del Kosovo, rivelando l'esistenza di reti criminali che controllano le rotte dei traffici di carburante e sigarette. Fu ferita in un agguato mentre si trovava in un villaggio della Drenica (vedi in proposito l'articolo pubblicato dal Courrier des Balkans all'epoca del fatto).

L'agguato fu una risposta diretta alla pubblicazione della sua inchiesta. Incinta di otto mesi, il suo bambino fu salvato in extremis. Sette anni più tardi l'indagine giudiziaria non ha prodotto alcun risultato. Un gruppo di indagine internazionale ha classificato il caso allo stesso livello dell'omicidio del giornalista Xhemail Mustafa, consigliere per la stampa di Ibrahim Rugova, ucciso nel 2000 da "sconosciuti". Altri due giornalisti, Besim Bardhyl e Ajeti Kastrati, che lavoravano per un quotidiano vicino alla Lega democratica del Kosovo (LDK) di Ibrahim Rugova, furono uccisi qualche tempo dopo l'ingresso delle forze della NATO in Kosovo.

Gli attacchi e le pressioni sui giornalisti non sono esattamente una novità in Kosovo. Secondo i giornalisti, la professione continua ad affrontare due nemici: le pressioni e le minacce da parte di politici e bande criminali e la mancanza di mezzi finanziari.

Secondo Halil Matoshi, entrambi questi due elementi spingono verso il basso il livello professionale dei media in Kosovo. Vehbi Kajtazi, giornalista del quotidiano Koha Ditore, ha recentemente pubblicato un'intervista con una persona che avrebbe ucciso i politici, su richiesta. "In un paese dove lo Stato di diritto è ad un livello allarmante, dove i politici sono strettamente legati agli uomini d'affari che spesso sono criminali, i giornalisti sono in costante pericolo", dice.

Arben Ahmeti, presidente dell'Associazione dei giornalisti professionisti del Kosovo, ha detto che la criminalità organizzata è diventata una fonte di forza e di potere: "Quando il potere legato al crimine organizzato influenza i tre poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario, i giornalisti sono costantemente il bersaglio di vari gruppi di interesse che minacciano la libertà di stampa". Secondo un rapporto di questa associazione, ci sono stati 33 attacchi contro i giornalisti lo scorso anno.

Secondo Ulpiana Lama, giornalista ed ex portavoce del governo, il problema del Kosovo è che le prove pubblicate non vengono tenute in conto. "La catena della verità è rotta a causa del fallimento della giustizia, che è riluttante ad impegnarsi. Questo svaluta il lavoro del giornalista e l'importanza delle informazioni pubblicate. Di conseguenza, il giornalista non è più motivato a indagare. Ecco perché la tendenza è l'apatia collettiva e il silenzio", dice Ulpiana Lama.

I media in Kosovo sono anche sotto il tiro del codice penale, anche se il ministro della Giustizia, Hajredin Kuci, nega: anche se il reato di parola non esiste più, due articoli di legge permettono di criminalizzare i media in qualsiasi momento.

Per Alma Lama, membro del Parlamento, i media in Kosovo sono in parte liberi. "Alcuni media scelgono di incoraggiare la mancanza di professionalità e diventare portavoce del potere. La televisione pubblica è interamente controllata dal governo. La mancanza di risorse finanziarie l'ha resa ancora più dipendente", dice Alma Lama.

I giornalisti e gli esponenti della società civile hanno espresso preoccupazione sull'abusando dell'informazione pubblica da parte del potere. La legge che garantisce l'accesso ai documenti pubblici funziona solo in teoria. La verità è soppressa a scapito dell'interesse pubblico, dice desolato Avni Zogiani, che dirige l'ong Cohu. Freedom House ha classificato il Kosovo tra i Paesi "parzialmente liberi", mentre Transparency International lo pone nella parte inferiore della classifica per quanto riguarda la libertà di stampa.

venerdì 23 marzo 2012

"INSIEME CONTRO LE DISCRIMINAZIONI": CONCLUSA IN MONTENEGRO CONFERENZA EUROPEA

Dai Balcani avviato un importante percorso politico in vista della storica conferenza del Consiglio d'Europa promossa dal Regno Unito
Comunicato Stampa dell’Associazione Radicale Certi Diritti

A Budva, Montenegro, si è svolta lunedì 19 marzo 2012 una storica conferenza che segna una tappa importante nel percorso verso una sempre maggiore eguaglianza e tutela dei diritti nei Balcani.

Il primo ministro della nazione ospitante, Igor Lukšić, ha invitato rappresentanti degli Stati europei e in particolare dei Balcani ed esperti internazionali per parlare di diritti, orientamento sessuale e identità di genere alla conferenza Insieme contro la discriminazione. Obiettivo e filorosso dell'evento è stato favorire un percorso soprattutto politico di contrasto alla discriminazione contro lesbiche, gay e persone trans nella regione. In diversi Stati, infatti, si ripetono attacchi e violenze contro la comunità LGBT, soprattutto in occasione di manifestazioni pubbliche da loro promosse quali i pride.

Oltre a ministri del governo montenegrino hanno preso la parola rappresentanti governativi di Bosnia, Serbia, Macedonia, Kosova e Croazia. In particolare la vicepremier di quest'ultimo Stato, nonché ministro per il welfare e la gioventù Milanka Opačić ha sottolineato l'impegno nel contrasto alladiscriminazione proprio per tutelare i giovani. Inoltre, ha annunciato che il governo croato sta lavorando ad una proposta di legge per introdurre un'unione civile per persone dello stesso genere.

Hanno partecipato ai lavori anche rappresentanti dei governi di Austria, Germania, Regno unito e Stati uniti. Assente l'Italia, la cui esperienza è stata tuttavia rapidamente ricordata nell'intervento di Alexander Schuster. Questi ha sottolineato che le riforme legislative non sono in sé sufficienti eche occorre contrastare anche l'omofobia istituzionalizzata, ad esempio attraverso campagne che visivamente associno lo Stato alla lotta contro l'esclusione e la discriminazione di persone LGBT.

La conferenza Insieme contro la discriminazione è stata fortemente voluta quale passo propedeutico verso altra storica conferenza, ovvero quella di più giorni che si terrà la prossima settimana al Consiglio d'Europa. Voluta dalla presidenza britannica per fare il punto sulla Raccomandazione CM/Rec(2010)5 sulle misure per combattere la discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, mira anche a promuoverne l'implementazione da parte degli Stati.

Tutti gli interventi alla conferenza di Budva sono disponibili online sul sito del Governo al seguente indirizzo:
http://www.gov.me/en/Together_against_Discrimination/video/#

SULLE ELEZIONI IN SERBIA NUOVO SCONTRO TRA BELGRADO E PRISTINA

Neanche un mese dopo l'accordo sulla parecipazione di Pristina ai forum internazionali, che ha consentito a Belgrado di ottenere la candidatura all'adesione all'UE, l'intenzione della Serbia di includere anche il Kosovo nelle sue elezioni parlamentari e amministrative del prossimo 6 maggio sta provocando una prova di forza e una escalation delle tensioni tra i due paesi. Alcuni analisti suggeriscono, tuttavia, che le autorità di Pristina dovrebbero lasciare che nei comuni a maggioranza serba le elezioni si tengano ugualmente.

Qui di seguito un articolo di Muhamet Brajshori da Pristina pubblicato ieri da Southeast European Times.

Pristina weighs force to keep Serbia's election from Kosovo
By Muhamet Brajshori for Southeast European Times in Pristina -- 22/03/12

Serbia's plans to include territory in Kosovo in its May 6th election may be met with a show of force and an escalation of the hostilities between the two countries. But some analysts suggest that Pristina should let the vote occur.

Representatives of four northern Kosovo municipalities announced on Wednesday (March 21st) that they have asked Serbia to hold local elections in Kosovo on May 6th. They noted that Kosovo Serbs have shown loyalty to Serbia by overwhelmingly denouncing Pristina institutions in a recent non-binding referendum, according to local media reports.

Kosovo Interior Minister Bajram Rexhepi said that police are preparing an operational plan to prevent Serbia from organising the vote, and said they will co-ordinate with EULEX and KFOR.
"While Serbia claims [it will] hold elections, we should be ready to react, not just on Election Day. [Kosovo] should use all democratic means … [to] stop the entry of unauthorised persons and materials relating to elections," Rexhepi told Radio Television of Kosovo.

He said that if the Serbian groups try to organize electoral meetings, the peacekeeping forces could not stand idly by.

Serbia says it has a constitutional obligation to hold elections in Kosovo, which declared independence four years ago. More than 80 nations recognise Kosovo.

Gerard Gallucci, former UN regional administrator for Mitrovica and member of the advisory board of Transconflict, told SETimes that Pristina should hold the elections in Kosovo.

"It would be wiser for Kosovo, and perhaps better for everyone, if Pristina did not obsess over these elections. It has the option of simply dismissing their legality and importance while standing back and taking the high road," Gallucci said.

He said the elections could be prevented in southern Kosovo, but not in northern Kosovo. The failed effort to stop the vote would deepen the division and underscore that Pristina has no real influence in the north.

"Certainly the use of force to stop elections in southern Kosovo would most likely succeed. But it could lead to ugly incidents that would hardly make Kosovo look European. North of the Ibar River, the use of force would likely again be counterproductive. It would engender another crisis that would lead to resistance by the local Kosovo Serbs," he said.

Gallucci said the International community likely would not assist Pristina to prevent elections in the north, with the fear of causing a new crisis there.

Kosovo Centre for Governance and Public Policy head Arjeta Demiri told SETimes that the international community has an obligation to assist Pristina.

"It was the international community that has assured Pristina that Serbian elections will not be organised, and if the decision is taken to use police, then Kosovo police must be supported," Demiri said.

She said Pristina has limited ability to prevent elections in northern Kosovo.
"Because of the roadblock and the current situation in the north, it will be difficult to prevent the elections. Only KFOR has the ability to do that," Demiri said.

International Civilian Office spokesperson Christian Palme told SETimes that although legislation supports Serbia holding parliamentary elections in Kosovo, only Pristina can hold local elections there.

"As the resolution passed by the Assembly of Kosovo on the issue of Serbian elections states, Serbian citizens living in Kosovo -- in accordance with European practice - have the right to vote for parliamentary elections in Serbia.

"As for local elections … the only legitimate local elections in Kosovo are those organized by the government of Kosovo. The International Steering Group unequivocally called on Serbia [in January] to ensure that its local elections are not extended into Kosovo," Palme said.
 
This content was commissioned for SETimes.com.

giovedì 22 marzo 2012

LA CONFERENZA REGIONALE SUI DIRITTI DELLE MINORANZE SESSUALI A BUDVA

di Marina Szikora [*]
"Dobbiamo costruire societa' in cui ci sara' posto per tutti e dove nessuno verra' discriminato su nessuna base", ha detto Milanka Opačić, vice presidente del governo croato e ministro della politica sociale e gioventu' alla conferenza regionale sui diritti delle minoranze sessuali svoltasi in Montenegro. Ha aggiunto che e' necessaria una costante educazione di cittadini affinche' la societa' sia ancora piu' tollerante verso le minoranze sessuali ed altre. Opačić ha rilevato che la posizione verso le minoranze dimostra il livello di democrazia in uno stato e che l'obiettivo di tutti i governi nella regione balcanica deve essere la costruzione di societa' tolleranti verso le minoranze.
La conferenza internazionale sui diritti di minoranze sessuali dal titolo "Insieme contro la discriminazione" si e' svolta a Budva sotto il patronato del governo montenegrino con l'assistenza di diverse organizzazioni internazionali.
Il premier montenegrino Igor Lukšić, nel suo discorso di apertura della conferenza ha detto che l'obiettivo e' quello di promuovere le raccomandazioni della Commissione dei ministri del Consiglio d'Europa sulle misure nella lotta contro la discriminazione in base all'orientamento sessuale o identita' generica.
"E' una buona occasione di scambiare pareri e confermare la comune prontezza di lavorare sulla costruzione di un concetto moderno della protezione di diritti umani e liberta' nonche' di mandare un messaggio di determinazione congiunta ad attivita' concrete per realizzare e migliorare la tutela di persone LGBT e la loro visibilita'" ha detto Lukšić.
Alla conferenza regionale di Budva hanno partecipato esponenti di governi, membri del coro diplomatico, rappresentanti della Commissione europea e del Consiglio d'Europa nonche' noti esperti internazionali, scientifici e rappresentanti di organizzazioni di diritti umani.
Il direttore della Direzione per i dirtti umani e di minoranze del governo serbo, Nenad Đurđević ha sottolineato che la Serbia e' determinata nella lotta contro la discriminazione in base all'orientamento sessuale il che e' stato anche confermato con la nuova strategia nazionale.
Il ministro della giustizia kosovara Hajrudin Kuci ha detto che il governo del suo paese ha la ferma posizione che uno degli obblighi fondamentali e' l'attuazione delle leggi e della politica di lotta contro la discriminazione. Questo garantira' uguali diritti per tutti i cittadini nonostante la loro eta', genere, nazionalita', sesso o orientamento sessuale in tutte le sfere della vita, ha detto Kuci.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in oggi a Radio Radicale

I BALCANI E IL PASSATO CHE NON PASSA: RIABILITAZIONE PER DRAŽA MIHAILOVIĆ?

La possibile riabilitazione del capo dei cetnici durante la seconda guerra mondiale riapre ferite mai rimarginate e mette a rischio i buoni rapporti tra Croazia e Serbia

di Marina Szikora [*]
"I cetnici sono stati criminali di guerra e il tentativo di riabilitare Draža Mihailović non e' una buona mossa della Serbia" ha detto il presidente della Croazia Ivo Josipović commentando cosi' l'annuncio di una parte del governo serbo e dei media serbi che la Corte di Belgrado pronunciera' un parere positivo relativo al ruolo del malfamato capo dei cetnici Draža Mihailović. Rispondendo alle domande dei giornalisti relative a questo tema che giustamente ha irritato la Croazia, Josipović ha detto che la Croazia aspettera' con una reazione ufficiale fino alla decisione finale di Belgrado. Tuttavia, ha avvertito il capo dello stato croato, tranne protesta ufficiali non si potra' fare molto poiche' si tratta di questioni interne della Serbia.
"Sappiamo bene tutti quali crimini avevano commesso i cetnici, non soltanto in Croazia bensi' anche in altre parti dell'ex Jugoslavia. Con tutta la buona volonta' non riesco a ricordare nessuna delle loro battaglie contro gli occupatori durante la Seconda guerra mondiale, e si sa di molti casi in cui i cetnici hanno combattuto insieme con i tedeschi e con gli ustascia croati contro i partigiani inoltre insieme con le forze sconfitte si ritirarono verso l'Austria" ha detto il presidente Josipović.
Va precisato che presso la Corte di Belgrado e' ancora in corso il processo relativo alla riabilitazione del generale cetnico Draža Mihailović. La prossima udienza e' fissata per il 23 marzo. Uno dei quotidiani di Belgrado, scrive 'Dnevni avaz' di Sarajevo, ha pubblicato la notizia che Draža Mihailović "verra' definitivamente riabilitato il 23 marzo". Tenendo in considerazione che esiste grande intersse per questo processo sia da parte degli esperti che da parte dell'opinione pubblica in generale e non soltanto in Serbia, la corte ha avvertito i media di astenersi da informazioni false e provvisorie. I promotori di una tale scandalosa richiesta affermano che il generale cetnico "non ebbe il diritto alla difesa e di non aver incontrato il suo avvocato prima dell'inizio del processo". Affermano che non ebbe nemmeno il diritto ad una corte indipendente. La richiesta di riabilitazione chiede l'annullamento della sentenza con la quale Draža Mihailović fu condannato a morte e con la quale precedentemente gli furono tolti tutti i diritti civili. Mihajlović fu fucilato il 17 luglio 1946 come nemico dello stato "numero uno". Si presume che le sue ossa furono trasferite in una seconda tomba per ostacolare il loro ritrovamento.
Va detto che la richiesta di riabilitazione e' stata sollevata dal nipote di Mihailović, Vojislav Mihailović. E' appoggiato dal Partito liberale serbo guidato dall'accademico Kosto Čavoškim, dall'associazione dei membri dell'armata jugoslava in patria nonche' dalle vittime del regime comunista. Dall'altra parte, gli antifascisti della Serbia e altre associazioni simili chiedono che questa richiesta sia respinta perche', come spiegano, Mihailović aveva collaborato durante la guerra con gli occupanti e commise molti crimini.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in oggi a Radio Radicale


IL SEGRETARIO GENERALE DEL CONSIGLIO D'EUROPA A BELGRADO

di Marina Szikora [*]
Thorbjorn Jagland, segretario generale del Consiglio d'Europa, ha dichiarato in una intervista alla FoNet serba, in occasione della sua visita a Belgrado, che se la Serbia vuole diventare membro dell'Ue allora e' di importanza decisiva continuare il dialogo con Priština ma anche concluderlo con successo. Jagland ritiene che 'la soluzione definitiva' deve essere trovata passo dopo passo. Ha osservato che uno stato non puo' aderire all'Ue se e' in conflitto con i vicini e ha confermato che nei Balcani e' estremamente importante anche il processo di riconciliazione. Tutto questo e' necessario per la Serbia se vuole diventare membro dell'Ue, ha rilevato Jagland.
Parlando del problema Kosovo, Jagland ha valutato che si dovrebbe lasciare lo svolgimento del dialogo tra Belgrado e Priština andando passo dopo passo in questo processo. Sarebbe sbagliato, ritiene il segretario generale del Consiglio d'Europa, passare ora al discorso sulla soluzione definitiva e valuta che sarebbe molto meglio essere pragmatici e alla fine del processo trovare una soluzione finale del problema. Alla domanda relativa all'idea della divisione del Kosovo o sull'autonomia della sua parte settentrionale, Jagland ha risposto che non va bene pregiudicare le cose perche' il discorso sulla soluzione definitiva potrebbe nuocere all'attuale dialogo tra Belgrado e Priština e al processo della riconciliazione nella regione.
Il rappresentante del Consiglio d'Europa si e' congratulato con la Serbia per lo status di candidato all'adesione e ha sottolineato che questo passo in avanti nel processo delle integrazioni e' importante, non soltanto per la Serbia bensi' per tutta l'Europa. E' altrettanto importante, ha detto, che la Serbia continui il lavoro comune nel Consiglio d'Europa poiche' soltanto l'adattamento agli standard di questa organizzazione puo' portare un paese verso il pieno ingresso nell'Ue. Jagland ha rilevato che se si guarda nel passato, e' evidente che non vi e' alcun paese che e' aderito all'Ue senza aver compiuto un lavoro preparatorio nel Consiglio d'Europa. Il segretario generale ritiene importante che la Serbia continui le riforme della giustizia e su questo tema ha parlato a Belgrado con la ministro della giustizia Snežana Malović. Si tratta della base dello stato di diritto, ha rilevato Jagland. Secondo la sua valutazione, su questo piano la sfida piu' grande e' l'istituzione di una giustizia indipendente nonche' la nomina e la destituzione dei giudici e dei procuratori. Siamo pronti ad aiutare la Serbia su questa linea, ha assicurato Jagland rilevando l'importanza della lotta contro la corruzione. La Serbia ha fatto molto sull'attuazione delle riforme e adopera tutti gli strumenti e convenzioni del Consiglio d'Europa relativi al rispetto dei diritti umani e di minoranze, ha concluso il segretario generale del Consiglio d'Europa.
Secondo la direttrice della Cancelleria per le integrazioni europee serba, Milica Delević, la Serbia ha gia' le basi e un meccansimo per il team di negoziatori nel prossimo dialogo con l'Ue. Ha aggiunto che nella luce delle prossime elezioni e la formazione del nuovo gabinetto di ministri, sara' necessaria una ulteriore costruzione nel senso che gli attuali team sarebbero dotati del volto di un nuovo governo. Delević ha precisato che al piu' alto livello politico esiste il corpo di coordinamento che riunisce i ministri guidati dal premier, e si tratta di ministri i cui dicasteri sono maggiormente inclusi nel processo delle integrazioni europee. Si aspetta che il nuovo Governo della Serbia, prima dell'inizio dei negoziati di adesione con l'Ue approvi la proposta di scadenze per adottare gli standard europei nei settori chiave in cui sarebbero illustrate le priorita' di Belgrado nei negoziati con l'Ue. Si sa di gia' che i primi ad essere aperti, saranno i capitoli 23 e 24 relativi alla giustizia, diritti umani, liberta' e sicurazza, scive il quotidiano di Belgrado 'Blic'.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in oggi a Radio Radicale

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale.
La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a tutte quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

martedì 20 marzo 2012

LA MACEDONIA IN CRISI E LA VIOLENZA URBANA

La Macedonia è alle prese da settimane con la violenza "interetnica" nelle città, mentre le istituzioni sembrano incapaci di arginare il fenomeno. In causa c'è l'incompetenza della classe politica, ma anche la disperazione dei giovani messi da parte. Non è bene essere di etnia macedone a Tetovo, o albanesi a Kisela Voda, mentre il quartiere di Cair rischia diventare il Bronx di Skopje. Le Courrier des Balkan propone oggi l'analisi di Nano Ruzin, docente universitario ed esponente del Partito liberal-democratico. Siccome nelle ultime puntate di Passaggio a Sud Est a Radio Radicale, ci siamo occupati varie volte delle violenze avvenute recentemente in Macedonia, mi sembra utile proporre qui di seguito l'articolo pubblicato il 13 marzo su Utrinski Vesnik (traduzione in francese di Jaklina Naumovski).

Macédoine : malaise social, violences urbaines et populisme ethnique
Par Nano Ruzin [1]

La violence urbaine que nous connaissons ces dernières semaines, et qui se propage comme une épidémie, est un phénomène nouveau dans les relations inter-ethniques en République de Macédoine. Comment la comprendre ? Les appels au calme suffiront-ils pour sortir de la crise ?

La situation actuelle ne fait pas de doute : nous vivons une importante crise économique, sociale, financière, culturelle et identitaire, qui touche aussi bien les Macédoniens que les Albanais. Beaucoup considèrent que ces violences sont semblables à celles de 2001. Cependant, il existe de grosses différences entre les incidents récents et ceux de cette période. Il y a onze ans, le mécontentement se manifestait avant tout dans les milieux ruraux, et les rebelles exprimaient clairement des revendications politiques. Aujourd’hui, nous avons affaire à des combats urbains, à une guérilla urbaine sans nom, qui se mène dans les centres de Skopje, Tetovo, Gostivar… Les camps rivaux n’ont ni revendications ni objectifs clairs. Le seul but est d’insulter et de battre le jeune de l’autre groupe ethnique.

La ville est le centre du pouvoir. La ville est la personnification du pouvoir et de la gouvernance, du crime, des bons et des mauvais garçons, du béton et de l’asphalte, du transport, de la forte concentration et de l’explosion démographique de la population, des rassemblements de masse… Dans les limites de l’aire citadine, vivent divers segments de la population, avec des origines ethniques, culturelles, religieuses et sociales différentes. Ils sont complémentaires ou rivaux, voire neutres et indifférents...

Dans ce contexte tendu, chaque politicien moderne, conscient de la sensibilité des rapports inter-ethniques liés aux défis urbains, doit être rationnel et éviter le populisme, l’euphorie patriotique appelée nationalisme. Il ne doit pas chercher à imposer son ethnie au détriment des autres, même à travers des manifestations sportives, culturelles ou autres.

Platon avait une maxime concernant l’état d’une société : « Celui qui gouverne doit aussi nourrir ». Dans une démocratie parlementaire, le Premier ministre est l’homme le plus puissant, puisqu’il possède le pouvoir exécutif. C’est le « père de la nation ». Machiavel dirait « la personne la plus responsable de l’État dans une royauté est le souverain ». Il gouverne le navire, il est de sa responsabilité que le peuple soit rassasié, heureux et en sécurité.

Son rôle n’est pas seulement d’être fier de son propre pouvoir, mais de faire aux inconvénients, aux moments difficiles, de prendre des risques et de se battre pour les intérêts de son pays, même si le prix à payer doit être la perte de ce pouvoir. D’un point de vue étique et déontologique, il ne doit pas s’autoriser à accueillir les critiques de l’opposition avec des réflexions du type : « vous aussi, vous faisiez pareil quand vous étiez au pouvoir » !...

Que peut-on reprocher à nos dirigeants ? Quand ils se complaisaient dans l’euphorie nationaliste des sportifs, qu’ils se masquaient narcissiquement dans les maillots de l’équipe nationale ils renforçaient leur cote auprès de l’opinion publique. C’était une fierté d’être un Macédonien, un pur Macédonien. Nous avons laissé nos concitoyens Albanais nous regarder nous réjouir égoïstement, sans leur tendre la main pour partager notre joie. Au contraire, on scandait des slogans contre les « Shiptars » et les autres « non-macédoniens », en leur faisant comprendre qu’ils n’étaient pas invités à la fête...

« Le patriotisme est le fait d’aimer les autres, et non pas de magnifier sa nation. Le nationalisme est le fait de se méfier des autres », déclarait il y a plus d’un siècle le socialiste français Jean Jaurès. C’est pourquoi nous tenons à signaler au Premier ministre Gruevski qu’il est très dangereux de faire des châteaux de sable, de croire à leur solidité, et d’obliger les autres à y croire tout aussi aveuglément.

Une jeunesse exclue et frustrée

Réjouissons-nous que les armes n’aient pas encore fait entendre leur voix, mais j’ai bien peur que cela finisse par se produire. Les jeunes sont, par définition, des rebelles. Les jeunes ont provoqué « les révolutions de jasmin » dans les pays arabes. Les « Indignés » ont pris possession des places à Londres, Paris, Madrid et Athènes. À Skopje et Gostivar, on a défilé contre les « mystères de la police » après les meurtres de Martin [2], de Besnik et d’Imran [3].

En Macédoine, la plupart des jeunes vivent dans la misère et sont lassés de traîner dans les rues et les cafés. Ils cherchent désespérément du travail et rêvent d’un monde meilleur, même si celui-ci se trouve à l’extérieur des frontières. Un tiers des chômeurs sont des jeunes de 18 à 27 ans. Certains d’entre eux sont menacés par les maladies urbaines : les humiliations, la dépression, la grisaille, l’exclusion sociale et les conflits. Ils vivent dans la promiscuité et sont éloignés des centres du pouvoir qui décident de qui sera exclu ou pourra trouver un emploi. Ils ont bien des raisons d’être insatisfaits de la vie. Les frustrations nationalistes qu’ils ressentent par rapport à l’autre ethnie se transforment souvent en salve d’émotions, en chauvinisme et en xénophobie. En Europe, le patriotisme à forte dose est une dangereuse drogue dure, pour sa propre ethnie comme pour les autres.

Le deuxième niveau de notre inquiétude tient à la dégradation du cadre des accords d’Ohrid. Après la célébration du dixième de cet important événement, certains de nos concitoyens parlent encore avec respect de « l’esprit » de l’accord d’Ohrid. Or, ces accords auraient dû provoquer une logique d’intégration entre des communautés ethniques segmentées.

Détournement des accords d’Ohrid

Bien loin de cela, le contrat social entre les communautés, sous l’influence de la coalition gouvernementale, est en train de se transformer en un simple partage des postes, des privilèges et des gros lots diplomatiques (lire notre article « Minorités en Macédoine : pour avoir un emploi public, il faut la carte du parti »). Le BDI, membre albanais de la coalition, au lieu de se comporter comme un partenaire sérieux, a cédé au chantage, et il ressemble aujourd’hui à un groupe de lobbyistes défendant ses intérêts dans un appel d’offres. Il est évident que le BDI aurait besoin d’un nouveau souffle...

Le troisième niveau d’interprétation de cette violence urbaine est plus proche de la théorie du complot, avec plusieurs sous-catégories. L’une d’entre elles consiste à dire que ces violences urbaines ont été utilisées par la coalition au pouvoir, afin de détourner l’attention de l’opinion publique de la crise économique et sociale.

Peut-être le pouvoir pourra-t-il « récupérer » ces événéments, mais je suis persuadé qu’il n’est pas derrière tout ça, et qu’il est conscient des risques qu’il y a à jouer avec le feu. L’autre hypothèse est que, sous pression de la communauté internationale, le Premier ministre serait sur le point d’accepter le compromis dans le conflit sans issue avec la Grèce concernant le nom de notre pays. C’est pourquoi, dans des conditions de troubles et d’insécurité, l’opinion publique pourrait accepter plus facilement le compromis. Ce scénario ne tient pas davantage la route. Je suis convaincu que le Premier ministre continue à jouer à celui qui a envie de trouver un compromis et une solution afin que les Européens crédules le croient. Et toujours, juste au moment où il faudra dévoiler la solution, une nouvelle complication apparaitra ! En tout cas, c’est c’est que pense Bruxelles de notre caste dirigeante...

Quel sens peut donc avoir l’émergence de la violence urbaine ? Une violence de ce type se manifeste dans toutes les grandes villes du monde. Les villes sont devenues le théâtre de violences alarmantes avec des zones particulièrement dangereuses. Le risque est grand si vous êtes blanc dans le Bronx ou à Harlem, à New York, à Saint-Denis ou à Bobigny, dans les favelas à Rio de Janeiro, à Mexico City où tous les bidonvilles sont en état de guerre. De même, il devient dangereux d’être Macédonien à Čair ou à Tetovo, ou bien Albanais à Gjorce Petrov ou à Kisela Voda... La police et les institutions ne sont plus capables de stopper la violence.

[1] L’auteur est professeur d’université et membre du Parti libéral démocrate.
[2] Martin Neskovski, assassiné par un membre des unités spéciales de la police en plein centre de Skopje, le soir des élections du 5 juin 2011. Lire notre article Macédoine : l’heure de la révolte civique après le meurtre du jeune Martin Neskoski.
[3] Deux jeunes Albanais, abattus par un policier à Gostivar le 28 février 2012. Lire notre article « Macédoine : flambée de violence à Gostivar ».

lunedì 19 marzo 2012

LIBERTA' DI STAMPA E DEMOCRAZIA IN TURCHIA

Martedì 20 marzo, alle 15,00, presso la sala conferenze dell'ex Hotel Bologna in via di Santa Chiara 4 a Roma, la Commissione per i Diritti Umani del Senato e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana organizzano la conferenza
Libertà di stampa e democrazia in Turchia
Quando la redazione va in galera



Intervengono
Pietro Marcenaro, Presidente Commissione Diritti Umani del Senato
Renate Schroeder, Direttore Efj (Federazione europea dei giornalisti)
Roberto Natale, Presidente della Fnsi (FederazioneNazionale Stampa Italiana)
Yasemin Taskin, BBC Radio, Sabah, Deutsche Welle
Franco Siddi, Segretario della Fnsi
Ferda Cetin, giornalista curdo e rifugiato in Francia
Hevi Dilara, Direttore Associazione Europa Levante

Da giovedì sull’home page del sito del sindacato dei giornalisti, www.fnsi.it, è possibile firmare la petizione perliberare i giornalisti rinchiusi nelle carceri turche. L’appello è rivolto al capo del governo Recep Tayyp Erdogan, perché abbia termine la persecuzione giudiziaria contro giornalisti che hanno avuto il solo torto di fare onestamente il loro lavoro e di credere neldiritto-dovere di informare l’opinione pubblica.

L’iniziativa della Fnsi, all’interno di una più vasta mobilitazione delle Federazioni internazionale ed europea dei giornalisti (Ifj e Efj), si propone di "adottare" virtualmente due colleghi detenuti nelle carceri turche: Dedri Adanir, turco di origine curda, e Baha Okar, le cui storie umane e professionali si possono leggere appunto sul sito della Fnsi.

Per adottare i colleghi firma la petizione. Clicca qui.

CAMPAIGN: SET TURKISH JOURNALISTS FREE

sabato 17 marzo 2012

BIELORUSSIA: ESECUZIONE PENA CAPITALE ATTO SPAVALDO E AUTORITARIO

Dichiarazione di Matteo Mecacci Deputato radicale-PD, Presidente Commissione Diritti Umani e Democrazia OSCE
La notizia giunta oggi dell’esecuzione capitale in Bielorussia per ordine del presidente Lukashenko di uno dei due sospettati dell’attentato dello scorso anno nella metropolitana di Minsk conferma la natura autoritaria del governo bielorusso.
Nei giorni scorsi si erano infatti ripetuti gli appelli internazionali per chiedere che le condanne a morte spiccate nei confronti di due giovani bielorussi non fossero eseguite, vista l’assoluta assenza di un processo equo e giusto a loro carico e l’impossibilità di esercitare il diritto di difesa.
Il rifiuto di Lukashenko di concedere la grazia e le sue dichiarazioni spavalde nei confronti dell’Europa (accusata di concorso in terrorismo), sono un segno della volontà del presidente bielorusso di intimidire le forze di opposizione che sono state sbattute in galera o costrettte all’esilio.
Mi auguro che il nostro governo condanni questa decisione immediatamente e assuma in sede europea un atteggiamento fermo e a favore di sanzioni forti nei confronti degli esponenti di quel governo responsabili di una repressione crescente.

VIOLENZA SULLE DONNE: TURCHIA RATIFICA CONVENZIONE PER PRIMA

La Turchia è il primo Paese ad aver ratificato la convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, già siglata da diciassette Paesi dopo una riunione dei ministri degli Esteri membri del Consiglio d'Europa lo scorso maggio a Istanbul. In occasione di questa prima ratifica, il Consiglio d'Europa ha rivolto un appello ai governi europei perché seguano l'esempio di Ankara e consentano così una rapida entrata in vigore della convenzione.
Il trattato, che riconosce la violenza contro le donne come una violazione grave dei diritti della persona e come forma di discriminazione, include come reati penali anche mutilazioni genitali, stalking, matrimonio forzato, violenza psicologica, aborto e sterilizzazione forzata. La convenzione prevede inoltre misure di prevenzione delle violenze, di protezione delle vittime e rafforza le sanzioni penali nei confronti degli autori dei reati.

Council of Europe
Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence

Explanatory report




venerdì 16 marzo 2012

MOLDAVIA: DOPO TRE ANNI ELETTO IL PRESIDENTE

Nicolae Timofti
La Moldavia finalmente ha un presidente. Dopo tre anni il parlamento di Chisinau è riuscito finalmente a superare l'impasse politica e ad eleggere, seppure di strettissima misura, il nuovo capo dello Stato. Nicolae Timofti, 63 anni, già presidente dell'Alto Consiglio della magistratura, candidato della “Alleanza per l'integrazione europea” attualmente al governo, ha ottenuto 62 voti, solo uno in più dei tre quinti richiesti come maggioranza qualificata nell'assemblea composta da 101 deputati. Timofti diventa presidente dopo una carriera interamente costruita nella magistratura già dai tempi dell'Urss, quando fu giudice del Consiglio supremo dell'allora Repubblica sovietica di Moldavia. La sua elezione, permessa da tre deputati socialisti che hanno deciso all'ultimo momento di appoggiarne la candidatura, pone fine a una crisi politica che durava dal 2009 e che ha visto fallire per quattro volte l'elezione del presidente a causa della mancanza di una maggioranza parlamentare. I 39 rappresentanti dell'opposizione comunista, dopo un appello a Timofti affinchè rinunciasse a candidarsi "per non diventare un usurpatore", hanno invece boicottato il voto.

KOSOVO: MOSCA CHIEDE INDAGINE ONU SU PRESUNTO TRAFFICO ORGANI

La "casa gialla" dove sarebbero
avvenuti gli espianti di organi
La Russia ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di "abbandonare posizioni di ostruzionismo" ed adottare "una risoluzione rilevante" che ordini l'avvio di un'indagine circa il presunto traffico illegale di organi umani prelevati da prigionieri principalmente serbi che sarebbe stato organizzato dall'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) durante e dopo la fine del conflitto contro la Serbia. A chiedere l'intervento del Consiglio di sicurezza è stato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in una conferenza stampa tenuta a Mosca insieme al suo omologo serbo, Vuk Jeremic. La Serbia da tempo chiede un'indagine ad hoc indipendente e sotto mandato Onu. A ciò si oppongono diversi Paesi, Francia in testa, per i quali la missione civile dell'Ue in Kosovo (Eulex) è già pienamente competente dell'inchiesta. Mosca ritiene invece necessaria una risoluzione del Consiglio di sicurezza se si vuole un'indagine “davvero imparziale e comprensiva". Per questo lavrovo ha espresso la speranza “che i partner occidentali, i quali non sono stati particolarmente entusiasti di questa prospettiva, la pensino finalmente meglio".

Il traffico di organi fu denunciato per prima dall'ex pocuratore capo del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpi), Carla Del Ponte, nel suo libro del 2008 "La caccia". A fine 2010, il senatore svizzero Dick Marty, ha presentato un rapporto realizzato per conto del Consiglio d'Europa che lo ha poi adottato all'unanimità. Secondo il documento nel traffico sarebbe stato coinvolto anche l'attuale premier kosovaro, Hashim Thaci, che all'epoca dei fatti era tra i capi della guerriglia albanese. L'Uck avrebbe trasferito prigionieri civili serbi e non albanesi, ma anche kosovari accusati di collaborazionismo con i serbi, dal Kosovo al nord dell'Albania, per sottoporli all'espianto degli organi che poi sarebbero stati rivenduti sul mercato nero internazionale.

La scorsa estate l'Ue, in coordinamento con Eulex, ha costituito un'apposita task force di indagine, ma la competenza territoriale della missione è limitata al solo Kosovo. L'Albania, ha infatti sempre negato ogni coinvolgimento e per questo ha finora negato l'autorizzazione ad indagare sul proprio territorio. Il Tribunale internazionale ha potuto svolgere una missione investigativa in Albania nel 2004, ma le prove raccolte sono state distrutte, in quanto ritenute, in quella sede, insufficienti. Belgrado chiede, pertanto, un organo d'inchiesta, con mandato Onu e competenza territoriale internazionale. Tirana, da parte sua, si è ora detta favorevole alla cooperazione con Eulex. Per il ministro degli Esteri russo, dato che "i Paesi occidentali prendono con orgoglio le loro posizioni in difesa dei diritti umani, affermandole in ogni luogo e contesto” è sperabile “che non saranno applicati doppi standard in questo caso, dove sono assistiamo alla violazione più flagrante dei diritti umani ed inosservanza di ogni standard morale". [RS]

giovedì 15 marzo 2012

SERBIA: LA CANDIDATURA ALL'UE E LA MEMORIA DI ZORAN DJINDJIC

Zoran Djindjic
Di Marina Szikora [*]
Sono passati nove anni dall'uccisione del premier serbo Zoran Đinđić e in occasione di questa tragica ricorrenza, sono in molti a ricordarlo, soprattutto nel momento in cui questo anniversario coincide praticamente con l'attribuzione dello status di candidato alla Serbia. Si parla della sua lotta senza compromessi per la democrazia e per l'ordinamento democratico che e' l'essenza dell'idea europea. Molti affermano che la Serbia in Europa e' indubbiamente un progetto di Zoran Đinđić e che la candidatura all'adesione all'Ue e' la vittoria delle sue idee.
L'ex premier serbo fu stato assassinato nel cortile della sede del governo serbo il 12 marzo 2003. Đinđić fu il primo premier serbo dopo la caduta del regime di Slobodan Milošević e dopo l'arrivo al potere del DOS, l'Opposizione democratica della Serbia. Durante il suo mandato inizio' il processo della democratizzazione della societa' serba e le riforme economiche e sociali. Il governo di Đinđić si impegnava per la collaborazione con il Tribunale dell'Aja e in quell'epoca furono arrestati alcuni imputati dell'Aja tra cui anche l'ex presidente della Serbia e della Jugoslavia, Slobodan Milošević, estradato all'Aja il 28 giugno 2001.
Nel maggio 2007, l'ex comandante delle unita' per le operazioni speciali del Ministero degli interni serbo, Milorad Ulemek e' stato condannao a 40 anni di carcere per aver organizzato l'assassinio di Đinđić mentre come esecutore diretto, altrettanto a 40 anni di reculusione e' stato giustiziato l'ex vice comandante di queste unita', Zvezdan Jovanović. Le sentenze sono state confermate nel 2008 in secondo grado e poi nel 2009 in terzo grado.

La presidente del Fondo per l'eccellenza politica di Belgrado, Sonja Liht afferma che anche se molti vedono Đinđić come un prediletto dell'Occidente, durante la sua vita non aveva il sostegno necessario per le sue decisioni politiche pragmatiche e spesso rischiose. "Zoran Đinđić era un uomo estremamente ambizioso nel senso di raggiungere i cambiamenti, era veloce a prendere decisioni essenziali e come una locomotiva ha cercato di spingere il paese in avanti. Pero' dobbiamo ricordare anche che, purtroppo, mentre era vivo non ha ottenuto il sufficiente appoggio nemmeno dalla stessa Europa – piu' gli e' stato promesso di quello che gli e' stato dato. Molte cose sono anche nostra responsabilita' ma non siamo soltanto noi responsabili per il cammino della Serbia negli ultimi 12 anni" ha detto Sonja Liht per la Deutsche Welle. Va sottolineato che la Procura per il criminale organizzato ha deciso che non sono state trovate sufficienti prove per sollevare le accuse che potrebbero scoprire lo sfondo politico dell'assassinio dell'ex premier serbo.

Svetlana Lukić, redatrice di 'Peščanik', uno dei rari media indipendenti in Serbia, scrive il settimanale croato 'Nacional', in occasione dell'anniversario dell'uccisione di Đinđić ritiene che e' cinico dire che vi sia una continuita' seria con la politica di Zoran Đinđić in Serbia. Lukić ricorda che la Serbia ha le stesse condizioni come gli altri paesi candidati, in piu' la questione della collaborazione con l'Aja e il Kosovo. Se la prima questione e' stata risolta, il Kosovo, afferma Lukić, non e' nemmeno vicino alla soluzione il che e' visibile anche dalle diverse interpretazioni sugli accordi raggiunti. Se anche questa condizione viene considerata adempiuta, tutte le altre condizioni, vale a dire le riforme dello stato, a partire dalle riforme della giustizia, dei media, della lotta alla corruzione, la restituzione, niente e' stato fatto. Per questa ragione, e' dell'opinione Svetlana Lukić, le riforme iniziate da Zoran Đinđić, da allora praticamente non si sono piu' mosse e ritiene che in molte cose si e' andati perfino indietro. Lukić critica che in vista delle elezioni tutte le opzioni sono aperte e per nessuna cosa, che si pensa avvenuta, non si e' certi che sia veramente accaduta. In questo senso punta sul fatto che in Serbia non si sa qual'e' l'accordo tra Belgrado e Priština. Ne' in Serbia, ne i serbi in Kosovo, ne' gli albanesi kosovari, non sanno qual'e' il contenuto degli accordi, afferma questa giornalista.

[*] Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale