venerdì 30 luglio 2010

CAMERON VUOLE LA TURCHIA NELL'UNIONE EUROPEA

Il premier britannico David Cameron
David Cameron si candida a diventare il maggiore sostenitore dell'ingresso della Turchia nell'Unione Europea. E' quello che emerge dalle dichiarazioni che il premier britannico ha fatto nei giorni scorsi durante la sua visita ufficiale in Turchia, la quinta da quando è diventato primo ministro, a sottolineare l'importanza che Downing Street attribuisce a questo dossier. E' "semplicemente sbagliato" affermare "che la Turchia possa sorvegliare il campo ma non debba essere autorizzata a sedersi all'interno della tenda", ha detto Cameron agli imprenditori turchi ricordando "ciò che fa la Turchia per difendere l'Europa in qualità di alleato Nato e ciò che la Turchia fa ora in Afghanistan al fianco degli alleati europei" ed esprimendo la sua "rabbia" di fronte agli ostacoli all'adesione della Turchia all'Ue.

Cameron ha criticato molto chiaramente i "pregiudizi" ed il protezionismo di francesi e tedeschi contro le ambizioni europee di Ankara e intervenendo al parlamento turco è stato molto esplicito circa il ruolo che la Gran Bretagna vuole avere rispetto al negoziato per l'adesione della Turchia: "Combatteremo per difendere i vostri diritti al tavolo dei leader del Vecchio Continente", ha detto il premier suscitando l'entusiasmo dei parlamentari che hanno salutato queste sue parole con più di un minuto di applausi.

La Commissione europea ha salutato con favore la determinazione espressa da Cameron a promuovere l'adesione della Turchia all'Ue ed il suo portavoce ha ricordato che il commissario all'Allargamento, Stefan Fule, e il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, sono stati di recente in Turchia, dove hanno "riaffermato la prospettiva di un ingresso nell'Ue" di Ankara. In effetti, però, i negoziati per l'adesione all'Ue, iniziati nel 2005, procedono a rilento in particolare proprio per l'opposizione della Francia e della Germania. Le parole di Cameron, quindi, più che rivolte alle autorità turche, era dirette ai vertici di Parigi e Berlino, a cui com'è ovvio non sono affatto piaciute.

La posizione della Germania nei confronti della Turchia è stata ribadita dal ministro tedesco degli Esteri, Guido Westerwelle, proprio a Istanbul durante la visita ufficiale compiuta il giorno dopo Cameron. La Turchia ha certamente un posto in Europa, ha detto in sostanza il numero due del governo tedesco, ma non necessariamente nell'Ue. Durante una conferenza stampa congiunta con il collega turco Ahmet Davutolgu,Westerwelle ha dichiarato che "la direzione della Turchia è verso l'Europa" e che "noi diamo grande importanza all'approfondimento delle relazioni e al fatto di legare la Turchia all'Ue", salvo specificare però che quello dell'adesione è un processo dall'esito aperto e senza automatismi.

Ancora una volta si confrontano due visioni opposte dell'Europa e del suo ruolo. Da una parte c'è una logica aperta e internazionale, che vorrebbe fare dell'Ue un attore globale e quindi vede l'ingresso della Turchia, con il suo dinamismo economico e il suo protagonismo diplomatico, come un arricchimento di cui fare tesoro. Dall'altra la solita visione franco-tedesca preoccupata soprattutto degli equilibri interni e della protezione degli interessi dei singoli paesi, che delega la sua "rappresentanza" internazionale agli Usa salvo criticarli quando compie scelte non gradite. L'Italia, da sempre pro turca al di là del colore dei diversi governi, dovrebbe fare sentire la sua voce e sposare con coraggio la posizione britannica, ma l'attuale governo, per non dire l'insieme della nostra attuale classe politica, tranne poche lodevoli eccezioni, non sembra davvero avere una tale capacità di "vision" strategica.

giovedì 29 luglio 2010

KOSOVO INDIPENDENTE: LE REAZIONI SERBE AL PARERE DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

Nonostante la profonda delusione per il parere della Corte Internazionale di Giustizia dell'Onu, secondo cui la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo non è illegale perché non contrasta con le norme del diritto internazionale, né con la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza, il governo serbo non si arrende e ha annunciato la ferma intenzione di difendere le sue ragioni nel dibattito che si svolgerà alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo ha annunciato all'indomani del pronunciamenteo della Corte il primo ministro serbo Mirko Cvetkovic. Non tutti in Serbia però la pensano così: il leader del Partito liberal-democratico, Cedomir Jovanovic, da sempre favorevole all'indipendenza kosovara, sostiene infatti che il parere dell'Icj impegna ora la Serbia a incamminarsi con decisione sulla strada dell'integrazione europea e della democratizzazione della società e che la classe politica deve avere la forza di mandare un messaggio ai cittadini serbi sul futuro del loro paese.

Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri sera a Radio Radicale e dedicato alle reazioni e ai commenti sul parere espresso dai giudici dell'Aja.


La Serbia vuole tornare a battersi contro ultreriori riconoscimenti del Kosovo e soprattutto contro l'ammissione di Pristina in seno alle Nazioni Unite, proprio laddove considera avere ancora forti sostegni e alleati che insieme a Belgrado sono contrari alla secessione del Kosovo. Secondo Cvetkovic, il governo serbo ha stabilito che la CIG non ha risposto alla questione fondamentale sulla legittimita' del diritto alla secessione degli albenesi kosovari e che non ha legalizzato il tentativo di secessione etnicamente motivato. Cvetkovic ha rilevato che la Serbia non ha ottenuto l'aiuto da parte della CIG in una situazione in cui il diritto internazionale e' stato violato a suo danno e ha aggiunto che il parere consultativo della Corte non ha chiuso le porte alle attivita' della politica estera della Serbia relative alla difesa della sua integrita' territoriale.

Belgrado proseguira' quindi con la sua battaglia per la soluzione del problema Kosovo in seno alle Nazioni Unite e il segnale verde e' stato dato anche da parte del parlamento serbo riunitosi in una sessione straordinaria lunedi'. 192 di un totale di 220 deputati presenti in aula hanno votato a favore di questa decisione. In difesa della necessita' di assumersi una posizione unica, sia del governo che dell'opposizione, intervenendo in Parlamento, il presidente Boris Tadic ha replicato alle posizioni di alcuni partiti di opposizione secondo i quali la Serbia puo' entrare facilmente nell'Ue se rinunciasse al Kosovo. Tadic ha negato queste affermazioni dicendo che si tratta di una politica del tutto sbagliata e che «l'Unione ha bisogno della Serbia cosi' come la Serbia ha bisogno dell'Ue». In questo momento e nella sua prosssima iniziativa all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nonche' per quanto riguarda la politica regionale, la Serbia deve dimostrare ancora una volta di essere un fattore di stabilita' e pace e di condurre una politica razionale e pianificata «e non una politica che rappresenta nuovamente il chiasso dei tamburi di guerra» ha detto il capo dello stato serbo sottolineando che la Serbia non condurra' mai piu' una guerra in Kosovo e che il problema del Kosovo lo vuole risolvere attraverso una politica di pace.

Uno dei partiti parlamentari che ha votato contro la prossima strategia della Serbia approvata lunedi' in parlamento dopo un lungo ed acceso dibattito e' stato il Partito liberal-democratico di Cedomir Jovanovic. Secondo il leader liberal-democratico la decisione della CIG impegna la Serbia a cambiamenti e ora bisogna avere la forza di mandare il messaggio ai cittadini della Serbia sul futuro del loro Paese. La Serbia, deve piu' decisamente che mai incamminarsi verso le integrazioni europee e verso la democratizzazione della societa', ha sottolineato Jovanovic aggiungendo che «il verdetto della CIG mette il punto su una politica sbagliata, sopravvissuta troppo a lungo ma allo stesso tempo non rappresenta la sconfitta ne' del popolo serbo ne' della Serbia. Cedomir Jovianovic ha rilevato che la Serbia deve essere capace di costruirsi sui nuovi valori e su idee migliori affinche' sia possibile credere realmente nelle relazioni diverse tra Kosovo e Serbia.

Il ministro degli esteri della Serbia Vuk Jeremic ha annunciato che le attivita' diplomatiche della Serbia gia' nelle prossime settimane saranno molto intense e che gli inviati speciali del presidente della Serbia si recheranno in 55 paesi per portare il messaggio personale di Tadic relativo alla richiesta di non riconoscere l'indipendenza di Pristina. Uno di questi inviati si e' recato a Bruxelles per illustrate la posizione e la proposta serba al consiglio di ministri dell'Ue riunitosi martedi' a proposito della decisione della CIG. Il capo della diplomazia serba conosciuto per la sua rigida fermezza in difesa degli interessi serbi, ha aggiunto che quello che in questo momento sta' accadento nelle relazioni internazionali e' un precedente estremamente pericoloso e che la questione della secessione e' lasciata largamente aperta alle interpretazioni di diversi movimenti secessionisti nel mondo. La questione della secessione deve essere chiusa con un dibattito all'Assemble generale dell'Onu poiche' non si tratta soltanto dell'interesse della Serbia bensi' dell'interesse di un gran numero di paesi nel mondo, ha avvertito il capo della diplomazia serba. «Noi siamo pronti a colloqui sulle questioni pratiche da subito, siamo pronti tutto questo tempo e abbiamo una cornice chiara per questi colloqui. La cornice e' stata confermata dal Consiglio di sicurezza lo scorso novembre 2008, con il piano del segretario generale dell'Onu in sei punti per il quale hanno votato tutti che in quel momento erano presenti alla riunione del Consiglio di sicurezza» ha ricordato Jeremic. Il ministro serbo ha aggiunto che dopo la decisione dell'Assemblea generale si aprira' lo spazio per un dialogo serio in cui la comunita' internazionale, innanzitutto l'Ue, avra' un ruolo molto importante.

Bisogna sottolineare anche che per ora, il parere della CIG non ha influenzato le posizioni di Mosca che continua a non riconoscere l'indipendenza della regione meridionale serba. Il portavoce del ministero degli esteri russo, Andrej Nesterenko ha confermato che la ferma posizione di Mosca «di non riconoscere l'indipendenza del Kosovo resta invariabile» e ha aggiunto che «la soluzione della questione kosovara e' possibile soltanto attraverso il proseguimento dei negoziati tra le parti interessate, in base alle decisioni della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu». «Siamo pronti a proseguire a contribuirvi attivamente» ha precisato Nesterenko.

Per quanto riguarda il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen il parere consultativo della CIG non avra' nessun impatto sull'operato e sul mandato della KFOR in Kosovo. In un breve comunicato, Rasmussen ha rilevato di «aver preso atto» della valutazione della Corte dell'Aja e ha sottolinaeato che «la KFOR continuera' a svolgere il suo mandato di salvaguardia della sicurezza e protezione in modo neutrale in tutto il Kosovo».

La decisione della CIG dell'Aja e' ancora una conferma al diritto di indipendenza dell'Abkhazia e Ossetia meridionale, ha dichiarato il presidente della non riconosciuta repubblica separatista dell'Abkhazia Sergej Bagaps e ha aggiunto che Ossetia meridionale e Abkhazia hanno maggiori basi storico-giuridiche rispetto all'indipendenza del Kosovo. Secondo le sue parole, la decisone della CIJ ha dimostrato «l'assoluta correttezza della decisione della Russia di riconoscere l'indipendenza dell'Abkhazia e Ossetia meridionale».

Il parere della CIG sull'indipendenza del Kosovo non ha cambiato le posizioni contrastanti dei politici della Bosnia Erzegovina. Nei paesi della regione, la BiH e' il paese che non ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo soprattutto a causa della posizione in merito alla questione dei rappresentanti serbo bosniaci nelle istituzioni della BiH. Il mambro serbo della presidenza tripartita della BiH, Nebojsa Radmanovic ha annunciato che la politica del suo Paese non cambiera' nemmeno dopo la decisione della CIG. «Nonostante la decisione della CIG non permettero' che la BiH riconosca il Kosovo. Il parere della CIG e' unilaterale e rappresenta solo un punto di vista» ha dichiarato Radmanovic. Stesso vale per il premier della Repubblica Srpska, l'entita' a maggioranza serba della BiH, Milorad Dodik il quale ha rigettato come inaccettabile la posizione della CIG. «Le istituzioni giudiziarie non stanno dalla parte della giustizia e del diritto bensi' dalla parte dell'attuazione di dura forza nelle relazioni politiche» ha commentato Dodik. Per l'attuale presidente della presidenza a rotazione, l'esponente bosgnacco, Haris Silajdzic «questo e' il risultato di una politica sbagliata, soprattutto del regime di Slobodan Milosevic e della repressione in Kosovo durata per lunghi anni. La BiH non ha condotto una tale politica, al contrario, e' stata vittima di questa politica, compreso il genocidio e per questo e non soltanto per questo l'integrita' della BiH e' garantita. Ogni tentativo che porterebbe nella direzione opposta verrebbe ostacolato, proprio come quest'ultimo» ha detto Silajdzic. Secondo il rappresentante croato della Presidenza della BiH, Zeljko Komsic, la posizione della CIG mette il punto finale giuridico alla dissoluzione dell'ex Jugoslavia. «Spero che da questo molti sapranno trarre il messaggio che cosi' si rafforzera' innanzitutto la Serbia democratica» ha detto Komsic esprimendo speranza in nuove relazioni nella regione per tutti.

Fonti diplomatiche affermano che il presidente Tadic e il premier kosovaro Thaqi non hanno accettato il dialogo ma non hanno nemmeno rifiutato l’aiuto offerto dall’Ue trasmesso dall’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue Catherine Ashton, scrive il quotidiano di Zagabria ‘Vjesnik’. Secondo queste informazioni, una decina di paesi avrebbero informato la presidenza belga che sarebbe necessario un tempo ulteriore per le consultazioni. Le ragioni non sono state rivelate ma risulterebbe che per molti non e’ chiaro come il parere della CIG potrebbe riflettersi sulla questione curda nonche’ sullo status delle regioni che in un modo o nell’altro aspirano ad una maggiore indipendenza rispetto ai paesi matrici, incluso qui il Kashmir in India e il Tibet in Cina. Altra ragione sarebbe il fatto che nessuno vuole vedere l’affogamento della Serbia, scrive ‘Vjesnik’.

PASSAGGIO SPECIALE: L'INDIPENDENZA DEL KOSOVO NON E' ILLEGALE

La scorsa settimana la Corte internazionale di Giustizia dell'Onu ha reso noto il suo parere sull'indipendenza del Kosovo. Com'è noto la Corte, con un voto a maggioranza (10 voti a favore contro 4, mentre un giudice non era presente alla votazione) ha stabilito che l'indipendenza proclamata dai kosovari albanesi il 17 febbraio del 2008 non contrasta né con le norme del diritto internazionale, né con la risoluzione 1244 con cui il Consiglio di sicurezza nel 1999 ha istituito un regime di autogoverno nell'ambito della Missione delle Nazioni Unite (Unmik) nella (ex) provincia serba. Si trattava di un parere consultivo senza un valore legale, ma con un ovvio ma non per questo meno importante peso politico e diplomatico.

Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri sera a Radio Radicale è stato dedicato ai commenti, alle analisi e alle reazioni provocate dal parere della Corte. Lo potete ascoltare qui



Lo Speciale andato in onda mercoledì scorso 21 luglio faceva invece il punto della situazione alla vigilia della pubblicazione delle decisioni dei giudici dell'Aja. Lo potete riascoltare qui



Entrambe le puntate, come tutti gli Speciali precedenti, sono disponibili sul sito di Radio Radicale.

L'ESTREMA DESTRA NELL'EST EUROPA

Membri della "Guardia Ungherese"
Segnalo l'importante dossier sulle formazioni di estrema destra nell'Europa centro e sud orientale che è in corso di pubblicazione sul sempre molto interessante blog East Journal. Si tratta di una serie di approfondimenti sui movimenti politici di estrema destra che in questi anni sono comparsi nei paesi che erano "oltre cortina" all'epoca del muro di Berlino e della divisione in due dell’Europa. Movimenti e formazioni che in diversi casi hanno visto crescere i loro consensi, soprattutto in un periodo di crisi economica piuttosto pesante come quello che stiamo attraversando. Parte del materiale è stato utilizzato per l’articolo di Dario Fertilio intitolato “Onda nera”, pubblicato il 12 giugno scorso sul Corriere della Sera.

Il dossier di East Journal inizia con un testo introduttivo intitolato "Il rimontare del populismo europeo". Si prosegue poi con una serie di puntate ognuna dedicata ad un diverso paese dell'area. Tra i testi pubblicati fino ad ora, per quanto riguarda il sud est europeo segnalo quelli dedicati alla Serbia, alla Croazia, alla Bulgaria e alla Romania.

mercoledì 28 luglio 2010

GRECIA, OMICIDIO GIOLIAS: ARRIVA LA RIVENDICAZIONE, MA RESTANO I MISTERI

Sokratis Giolias
La rivendicazione è arrivata, ma la vicenda resta oscura. Ieri la "Setta dei rivoluzionari", il sanguinario gruppo terroristico comparso in Grecia nel febbraio dell'anno scorso dopo i gravissimi disordini scoppiati nel dicembre 2008 a causa dell'assisinio di un giovane da parte di un poliziotto, si è attribuita l'omicidio del giornalista Sokratis Giolias, ucciso con 19 colpi di pistola all'alba del 19 luglio davanti alla sua abitazione ad Atene. La rivendicazione è contenuta in un documento su cd recapitato alla redazione del quotidiano Ta Nea che lo pubblica oggi. Tutto chiaro, dunque, anzi no. Il documento, infatti, solleva molti più interrogativi di quanti potrebbe aiutare a risolverne.

Giolias, direttore della radio privata Thema 98.9, attraverso Troktiko, il suo blog di gossip e informazione (mezzo milione di contatti al giorno), aveva più volte rivelato intrallazzi e affari sporchi del potere: dallo scandalo immobiliare legato al monastero di Vatopedi che aveva costretto alle dimissioni alcuni ministri del passato governo di Kostas Karamanlis, alla rivelazione dei compensi principeschi di alcuni gornalisti della tv pubblica. Logico, dunque, che non fosse amato nei palazzi del potere, ma il giornalista, per sua stessa definizione "spregiudicato e senza paura", non era amato nemmeno dall'opposizione perché, come notano alcuni commentatori, si prestava anche a diffondere accuse incrociate tra avversari politici.

C'è poi la tecnica dell'omicidio, che fa più pensare alle modalità usate di solito dalla criminalità comune o organizzata. E a complicare ulteriormente la vicenda c'è il fatto che le pistole calibro 9 usate per l'attentato sarebbero quelle usate dalla "Setta dei rivoluzionari" nel 2009 per l'attacco contro la stazione di polizia di Korydallos, in cui morì un agente, e contro la stazione televisiva Alter. Nonostante la rivendicazione, dunque, restano per ora senza risposta tutti gli interrogativi sorti dopo l'omicidio. E restano aperte tutte le considerazioni su un certo modo di fare giornalismo "d'inchiesta" (o "da buco della serratura") e sulla natura dei gruppi violenti armati comparsi in questi ultimi anni in Grecia.

lunedì 26 luglio 2010

LA STORICA VISITA DEL PRESIDENTE CROATO JOSIPOVIC IN SERBIA

Il presidente croato Josipovic incontra quello serbo Tadic a Belgrado il 18 luglio 2010
Ivo Josipovic e Boris Tadic
Josipovic in Serbia: una visita di riconciliazione e prospettiva
di Marina Szikora (*)

In un articolo di questa settimana dello spesso citato giornalista croato Davor Butkovic di 'Jutarnji list' si parla del futuro ruolo della Croazia nella regione e del suo neo presidente Ivo Josipovic. Butkovic cita le parole di un diplomatico occidentale, rappresentante di un paese dell'Ue che voleva rimanere anonimo ma che sostiene fortemente l'ingresso della Croazia nell'Ue. «Il vostro ruolo nell'Ue, quando diventerete membro a pieno titolo, sara' completamente chiaro. Voi, in un certo modo, avrete la responsabilita' per gli altri paesi della regione. In parole povere, voi sarete rappresentanti dell'Ue per la regione. E' chiaro che la Macedonia con il tempo potra' aderire, e' chiaro che tutti desideriamo che la Serbia entri nell'Ue. Il Montenegro e l'Albania non dovrebbero essere altrettanto un problema. Per la BiH invece e' tutto incerto». L'interlocutore diplomatico del quotidiano croato ha sottolineato che per Bruxelles e' estremamente importante che entrambi i maggiori partiti croati, l'HDZ e l'SDP hanno posizioni fermamente proeuropee. In questo senso, quale che sia l'esito delle prossime elezioni parlamentari, non sara' messo a repentaglio l'orientamento europeo della Croazia.

Le visite del presidente Josipovic nella regione, in particolare quella compiuta a Belgrado domenica e lunedi' scorso, nel senso simbolico, «sono il punto piu' importante della prima tour regionale che Josipovic ha compiuto con successo in soli sei mesi, da quando ha prestato il giuramento presidenziale» scrive 'Jutarnji list' cittando la fonte occidentale e aggiunge che «la Croazia con l'atto di adesione all'Ue diventera' un leader politico naturale dei paesi dell'ex Jugoslavia. La Slovenia aveva perso questa occasione anche per la sua divrsa posizione geopolitica, ma anche a causa dei suoi tentativi di bloccare l'ingresso croato nell'Ue che aveva indubbiamente reso la Slovenia impopolare a Bruxelles». La Croazia, diversamente, piuttosto che bloccare la Serbia, ha il compito di preparare la Serbia per il processo di adesione all'Ue una volta raggiunte le condiziono politiche necessarie. Per questo, una delle priorita' sia del presidente Josipovic che del futuro premier croato (di Zoran Milanovic oppure di Jadranka Kosor, dipendentemente da chi di loro vincera' le prossime elezioni parlamentari) sara' quella di sviluppare nei prossimi anni relazioni piu' possibilmente produttive, innanzitutto con la Serbia.

I leader croati devono quindi preparare gli altri paesi della regione per il successo dei negoziati di adesione all'Ue. Ma qui c'e' il grande problema del Kosovo. La Serbia, afferma l'articolo, non puo' contare con l'adesione all'Unione finche' tenta di anullare l'indipendenza del Kosovo e conclude che «sara' interessante vedere se saranno proprio i leader croati quelli che nei prossimi anni tenteranno, ovviamente in forma innufficiale, a convincere i vertici serbi ad adempiere la richiesta europea relativa al Kosovo.
L'evento piu' importante dell'inizio di questa settimana e' stata quindi la prima visita ufficiale del presidente croato Ivo Josipovic in Serbia – a Belgrado e Subotica, in Vojvodina. La seconda giornata a Belgrado e' stata importante anche perche' il capo dello stato croato ha visitato la prestigiosa organizzazione nongovernativa per i diritti umani Fondo per il diritto umnitario partecipando ad un incontro con i rappresentanti delle diverse ong serbe. Josipovic ha sottolineato che la sua posizione sulla riconciliazione nella regione non e' cambiata e che con il suo impegno politico continuera' a contribuire a questa causa. Ha aggiunto che nel presidente Tadic ha trovato un partner che condivide gli stessi obbiettivi quando si tratta di questa questione. «Sappiamo che il tempo per le vittime e per quelli che hanno sofferto prosegue lentamente, ma sappiamo anche che giustizia, pace e comprensione non arrivano facilmente» ha detto il presidente Josipovic aggiungendo che le relazioni nella regione negli ultimi tempi sono in ascesa. La direttrice del Fondo per il diritto umano, Natasa Kandic ha valutato positivamente l'idea di una prossima visita del presidente della Serbia Tadic a Vukovar. Secondo la Kandic sono maturate le condizioni politiche per la realizzazione di questa visita.

Incontrando il premier serbo Mirko Cvetkovic, il capo dello stato croato ha sottolineato che l'adesione all'Ue, come interesse strategico della Croazia e Serbia e' uno stimolo estremamente importante per il progresso di ogni forma di cooperazione dei due paesi, soprattutto nella sfera della sicurezza e della lotta contro la criminalita' organizzata. Durante l'incontro e' stato stabilito che prossimamente si lavorera' attivamente per risolvere il problema del ritorno dei profughi, per il rispetto dei loro diritti nonche' sulla questione delle persone disperse. Impressionante e' stato anche l'incontro con le famiglie dei cittadini croati che a suo tempo dalla Croazia sono fuggite in Serbia e attualmente si trovano nel processo di ritorno nelle loro case di una volta. Josipovic ha chiesto a queste famiglie di tornare in Croazia. Queste persone hanno sottolineato nel loro incontro con Josipovic e Tadic che la restituzione del diritto di abitazione, la ristrutturazione delle loro proprieta', le pensioni non pagate e la convalidazione del periodo di lavoro sono tra i piu' gravi problemi relativi al ritorno dei serbi in Croazia.
Simbolico ma con un valore di grande importanza per il futuro dei rapporti tra Croazia e Serbia, e' stata la restituzione di una icona della Madonna, proprieta' della chiesa di san Dimitrio in Croazia, saccheggiata durante la guerra e adesso consegnata a Josipovic dal suo collega Tadic. Un simbolo di buona volonta della Serbia a partecipare attivamente nel processo di restituzione dei beni culturali croati.

Pace e stabilita' nella regione sono l'obbiettivo comune dei due paesi e nelle loro relazioni bilaterali esiste un'atmosfera di riconciliazione, hanno concluso i due presidenti. In occasione della partecipazione dei due capi di stato domenica scorsa alla celebrazione del ventennario dell'Alleanza democratica dei croati in Vojvodina a Subotica, Tadic ha dichiarato che i croati in Serbia avranno in lui «sempre un alleato reale nella lotta per gli interessi, identita', tutela della cultura e particolarita' del popolo croato in Serbia e in Vojvodina».
«Le minoranze nazionali sono la ricchezza e il filo di collegamento tra i due stati. Voi siete la piu' grande forza politica e civile di questa comunita' e per questo avete un ruolo praticolarmente importante per la sua protezione. Per una tale politica, collaborazione e convivenza, per una politica europea, io ho trovato in Boris Tadic un partner e amico» ha detto Ivo Josipovic.

(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è parte della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda sabato 24 luglio

domenica 25 luglio 2010

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est del 24 luglio a Radio Radicale


Kosovo: il parere della Corte internazionale di giustizia dell'Onu sull'indipendenza, altri commenti e reazioni in particolare da Serbia, Croazia, Albania e Spagna e un'intervista all'ambasciatore italiano a Pristina, Michael Giffoni, "facilitatore" dell'Ue per il nord Kosovo.
Croazia: la storica visita del presidente Ivo Josipovic in Serbia e l'accordo energetico con l'Ungheria.
Albania: le misure del governo per fronteggiare la crisi economica globale acuiscono lo scontro tra la maggioranza e l'opposizione guidata dal Partito socialista del sindaco di Tirana, Edi Rama.
Macedonia: sembrano aprirsi nuove prospettive per risolvere il contenzioso con la Grecia sul nome dell'ex repubblica jugoslava.
Grecia: l'assassinio del giornalista Sokratis Guiolias fa riflettere su un certo tipo di giornalismo investigativo (che alcuni chiamano da "buco della chiave") e mostra un cambiamento nel modo di agire dei gruppi politici estremisti e una possibile contiguità con la criminalità organizzata (intervista a Elisabetta Casalotti del quotidiano Eleftherotypia).

La puntata è stata realizzata come sempre con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui



oppure è disponibile per il podcast sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche (dove è possibile riascoltare anche tutte le puntate precedenti compresi gli Speciali del mercoledì).

GRECIA: L'OMICIDIO DEL GIORNALISTA SOKRATIS GUIOLIAS

Sokratis Guiolias
Sokratis Giolias
Lo hanno attirato fuori casa con un tranello e lo hanno poi assassinato con numerosi colpi di arma da fuoco. Sokratis Guiolias, 37 anni, giornalista e blogger molto noto, direttore dell'emittente radiofonica “Thema 9,89“, è stato freddato all'alba del 19 luglio davanti alla sua abitazione ad Atene. Si tratta di un fatto gravissimo che ha scosso notevolmente la Grecia: il primo giornalista assassinato da vent'anni a questa parte. Perché lui e perché adesso, è la domanda che si sono posti molti commentatori. L'omicidio è stato attribuito alla "Setta dei rivoluzionari", un gruppo nato dopo i disordini del dicembre 2008 che aveva dichiarato di voler eliminare tutti i giornalisti e tutti i poliziotti. Una vera rivendicazione, però, non c'è stata e resta quindi il mistero sui veri mandanti e sugli esecutori. Probabilmente il delitto è legato alla professione di Guiolias, uno dei principali esponenti di uno spregiudicato modo di fare giornalismo in Grecia che alcuni definiscono investigativo e altri da "buco della chiave": Guiolias con le sue inchieste aveva fatto luce su molti affari sporchi. L'omicidio, però, indica anche un cambiamento della violenza politica in questi ultimi anni, dei nuovi gruppi estremisti rispetto a quelli "storici".
Su questo per Radio Radicale ho intervistato la collega Elisabetta Casalotti, giornalista di Eleftherotypia, uno dei più diffusi quotidiani greci.

L'intervista la trovate qui oltre che sul sito di Radio Radicale

venerdì 23 luglio 2010

IL TRIBUNALE PER L'EX JUGOSLAVIA SI OCCUPA DI KOSOVO E CROAZIA

Mentre l'attenzione di chi segue gli avvenimenti del sud est europeo in queste ultime ore è stata giustamente catalizzata dalla decisione della Corte internazionale di giustizia dell'Onu sulla legittimità dell'indipendenza kosovara, in un'altra corte, il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, sono state o stanno per essere prese altre decisioni non meno importanti e significative per quanto riguarda la regione balcanica.

La prima riguarda l'arresto ed il trasferimento all’Aja di Ramuš Haradinaj in base al mandato di cattura emesso in seguito all'accoglimento del ricorso della procura contro la sentenza che due anni fa aveva rimesso in libertà l'ex capo guerrigliero ed ex premier del Kosovo dopo il processo di primo grado nel quale era stato assolto dalle accuse di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Un processo turbato e condizionato da intimidazioni ai testimoni, ha detto il presidente del Tpi, Patrick Robinson, alla presenza dello stesso Haradinaj. La decisione di ripetere il processo e l'arresto di Haradinaj erano stati confermati all’agenzia di stampa serba Beta dalla portavoce del Tribunale internazionale, Nerma Jelačić, proprio il giorno prima del parere della Corte internazionale di giustizia dell'Onu sulla legalità della secessione del Kosovo dalla Serbia.
Jelacic ha dichiarato all'agenzia Tanjug che il processo contro l’ex comandante dell’Uck e contro gli altri due accusati (il suo braccio destro Idriz Baljaj, anche lui assolto in primo grado, e Lahi Brahimaj, condannato invece a sei anni per aver partecipato a torture e atti di particolare crudeltà durante la guerra del Kosovo) è il primo ad essere ripetuto nella storia del Tpi.
I testimoni, Šefćet Kabaši e un'altra persona la cui identità è protetta per ragioni di sicurezza, hanno fatto parte dell’Uck a Jablanica e si sono rifiutati di testimoniare davanti al Tribunale anche se precedentemetne con le loro deposizioni avevano accusavato Haradinaj, Baljaj e Brahimaj di crimini commessi durante la guerrta del Kosovo contro serbi e albanesi nella zona di Dečani.
Haradinaj, per farsi processare nel 2005 si dimise dalla carica di primo ministro del Kosovo dopo soli cento giorni al governo

Dal Kosovo alla Croazia, dall'Operazione Tempesta con cui la Croazia riconquistò la Krajna dove i serbi avevano dichiarato la secessione. Dal processo a Ramus Haradinaj a quello contro Ante Gotovina.

La procura dell'Aja avrebbe chiesto una pena di 27 anni di carcere per l'ex generale Ante Gotovina, 23 anni per Mladen Markac e 17 anni per Ivan Cermak, ritenendo così che nel corso dei due anni di processo contro i tre ex generali croati, è stata provata la colpevolezza per i crimini commessi durante e dopo l'operazione "Tempesta". Queste le indiscrezioni riportate dai media croati tra cui anche da Novi List. Le alte pene richieste dalla procura dell'Aja non rappresentano nessuna eccezione dalla consueta prassi della procura dell'Aja, scrive il quotidiano di Fiume e aggiunge che la procura per tutto il tempo del dibattimento (303 giorni effettivi di lavoro), si comporta come se le sue accuse siano pienamente provate anche se spesso questo è lontano dalla verità.
Le parole conclusive verranno comunque dette tra il 30 agosto e il 2 settembre prossimi. La difesa, ovviamente, chiederà l'assoluzione dei tre generali croati cercando di convincere il Tribunale che l'accusa non e riuscita a portare prove sufficienti. Fino alla sentenza di primo grado, il consiglio del Tribunale può rinviare anche la decisione finale sui tanto contestati diari di artiglieria, i documenti relativi all'operazione Tempesta che, secondo la procura, dovrebbero dare informazioni importanti sulla colpevolezza dei tre generali. La difesa di Gotovina recentemente aveva insistito affinché al massimo entro lo scorso 30 aprile fosse presa la decisione sul contenzioso tra la Croazia e la procura dell'Aja relativo ai diari. Il Tribunale aveva però respinto questa richiesta della difesa di Gotovina.
Anche se non esiste un termine entro il quale il Tribunale dovrebbe pronunciare la sentenza di primo grado, secondo Novi List ci si aspetta che il giudice Alphons Orie prenda la decisione entro la fine dell'anno.

Con la collaborazione di Marina Szikora

KOSOVO: LA DECISIONE DELL'ICJ PUO' ESSERE L'OCCASIONE GIUSTA

La Corte internazionale di giustizia dell'Onu
Previsioni smentite. Ci si aspettava un parere "equidistante" (o ambiguo, secondo i punti di vista) e invece la Corte internazionale di giustizia dell'Onu ha deciso che la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo non è illegale. Esultanza a Pristina, disappunto a Belgrado, gioia tra i baschi e gli abkhazi, sgomento a Mitrovica. Quello che la Corte dell'Aja non ha chiarito, però, è se l'indipendenza è anche legittima. O meglio, i 14 giudici hanno preferito attenersi ad una valutazione strettamente tecnica lasciando la risposta politica all'Assemblea generale delle Nazioni Unite che a settembre affonterà la questione. Intanto, ovviamente, ognuno interpreta il verdetto di ieri come meglio crede. La mia impressione, però, è che molti commentatori non abbiano letto bene la decisione della Corte.

Se lo volete fare trovate qui la sintesi del parere consultivo dell'Icj

Qui invece trovate il comunicato stampa

Da questo punto di vista mi sembra interessante quanto ha scritto ieri Tomas Miglierina su Osservatorio Balcani e Caucaso. La domanda posta dalla Serbia nel 2008 era: la dichiarazione di indipendenza del Kosovo ha violato o no il diritto internazionale? La risposta della Icj è no. Per tre motivi:
1 - non esiste un divieto a proclamare l'indipendenza
2 - la risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di sicurezza ha istituito un'amministrazione temporanea, ma non ha riservato al Cds il diritto a decidere lo status del Kosovo
3 - i parlamentari kosovari che hanno dichiarato l'indipendenza hanno agito come rappresentanti eletti dal loro popolo.

Queste considerazioni possono sembrare sottigliezze da azzeccagarbugli, ma quando si ragiona di diritto è meglio maneggiare il bisturi di un chirurgo piuttosto che un'ascia da taglialegna. Detto questo è ovvio che poi ognuno è libero di fare le proprie valutazioni sulla decisione dell'Icj. Intanto, in attesa di approfondire meglio e di leggere i pareri degli esperti, penso si possa comunque fare qualche osservarzione.

La prima è che Belgrado ha subito una sconfitta: aveva chiesto un parere giuridico sulla legalità dell'indipendenza della sua provincia e dal punto di vista giuridico ha avuto torto. D'altra parte - seconda osservazione - Pristina non ha vinto: quello del Kosovo resta un caso diverso e a sé stante rispetto ad altre situazioni analoghe. Non si capisce quindi - terza osservazione - cosa abbiano da gioire i baschi o i corsi e come questa decisione della Icj possa essere fatta valere nei casi di Cipro Nord o della Republika Srpska di Bosnia. E non credo neppure - altra osservazione - che il parere possa innescare secessioni in queste e in altre aree "calde" del pianeta. Almeno voglio sperarlo.

Il problema semmai è gestire la situazione sul terreno, prevenire e controllare l'esplodere di possibili violenze, rassicurare la popolazione serba del Kosovo, smorzare gli eccdessivi entusiasmi di quella albanese. Il ruolo dell'Ue da questo punto di vista è essenziale: la decisione dei giudici dell'Aja, nonostante le apparenze, mi sembra possa fornire uno stimolo per riavviare i negoziati tra Belgrado e Pristina. Non sullo status, ma sulla tante altre questioni che vanno affrontate e risolte. E' un'occasione che Bruxelles, nonostante le divisioni sull'argomento tra i Paesi membri, può sfruttare positivamente, visto che la prospettiva europea riguarda sia la Serbia che il Kosovo. Una prima idea sulle inclinazioni europee ce la faremo lunedì con la riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette.

mercoledì 21 luglio 2010

KOSOVO: LEGITTIMITA' DELL'INDIPENDENZA, DOMANI IL VERDETTO

Dunque, ci siamo. Domani la Corte internazionale di giustizia dell'Onu (Icj) esprimerà il parere richiesto dalla Serbia sulla legittimità dell'indipendenza del Kosovo proclamata unilateralmente il 17 febbraio 2008. Secondo la nota ufficiale diffusa dalla stessa Icj la scorsa settimana la seduta pubblica, nel corso della quale il presidente della Corte, Hisashi Owada, darà lettura del verdetto, è convocata alle ore 15 al Palazzo della Pace, all'Aia. Per i Balcani e l'intera Comunità internazionale è "arrivato il momento della verità", come ha dichiarato il ministro degli esteri serbo, Vuk Jeremic.

La Serbia, com'è noto, considera l'indipendenza dichiarata dal Kosovo il 17 febbraio 2008 una violazione del diritto internazionale e della risoluzione 1244 con cui il Consiglio di sicurezza dell'Onu nel 1999 ha posto la provincia sotto la tutela della Comunità internazionale pur riconoscendo la sovranità di Belgrado. I kosovari albanesi, che rappresentano oltre il 90% della popolazione, rivendicano invece il diritto ad un proprio stato dopo le discriminazioni e la pulizia etnica inflitti loro dalla Serbia di Milosevic che portarono alla guerra fermata solo dai bombardamenti della Nato del 1999.

L'8 ottobre del 2008 la Serbia ha ottenuto il via libera dall'Assemblea generale a sottoporre la questione al massimo organo giurisdizionale dell Nazioni Unite. Tra il primo e l'11 dicembre 2009 la Serbia, il Kosovo e ventinove Paesi membri Onu, inclusi Russia e Stati Uniti, hanno poi presentato le loro valutazioni alla Corte. Il verdetto di domani non avrà valore vincolante, ma assumerà certamente un notevole peso politico e diplomatico e quindi un'influenza sul difficile processo di stabilizzazione e di pacicazione dei Balcani occidentali dopo le guerre jugoslave degli anni '90.

Un parere dell'Icj favorevole all'indipendenza di Pristina, temono alcuni osservatori, potrebbe legittimare non solo le ambizioni secessioniste delle tante minoranze sparse nei vari Stati nati dalla dissoluzione della Jugoslavia (in Bosnia e Macedonia in primis), ma anche nel resto del mondo, a partire dalla stessa Unione Europea: non per caso Spagna, Cipro, Romania, Slovacchia e Grecia sono i cinque dei 27 Paesi UE a non aver riconosciuto l'indipendenza di Pristina. La possibilità però appare francamente eccessiva: non si vede perché un parere consultivo dovrebbe provocare ora quello che non accadde nel febbraio 2008. All'opposto, una decisione pienamente favorevole a Belgrado richierebbe di destabilizzare il difficile equilibrio che l'UE e la comunità internazionale cerca di mantenere nella regione alla ricerca di una stabilità più duratura. I pronostici di analisti, diplomatici e giuristi sembrano concordi, però, nel prevedere un verdetto "salomonico" (o equidistante o anche ambiguo, se preferite) con il quale la Corte internazionale, forzando i principi giuridici, riconoscerà la situazione "de facto": il Kosovo è ormai indipendente tranne che nei territori a nord del fiume Ibar, dove la maggioranza serba non riconosce altro che l'autorità della madrepatria.

La Serbia si dice comunque pronta, immediatamente dopo la decisione dell'Icj a proporre all'Assemblea generale delle Nazioni Unite l'adozione di una risoluzione equilibrata che mostri chiaramente il suo desiderio di raggiungere un compromesso su tutte le questioni, incluso lo status del Kosovo, e che mostri la sua flessibilità circa i bisogni della comunità albanese, così come delle altre comunità, come ha dichiarato il vicepremier serbo con delega all'Integrazione Ue, Bozidar Djelic, il quale ha però ribadito che Belgrado mai riconoscerà l'indipendenza della sua provincia.

Secondo il quotidiano serbo Politika, che nei giorni scorsi citava fonti del ministero degli Esteri di Belgrado, "la Serbia risponderà all'offerta di Bruxelles di redigere insieme il testo della risoluzione, dopo la riunione dei ministri degli Esteri Ue del 26 luglio prossimo". Vecernje Novosti, invece, citava altre fonti secondo la quali il testo della risoluzione che Bruxelles ha proposto alla Serbia di sottoscrivere insieme "affermerebbe che tutti i negoziati tra Belgrado e Pristina verrebbero condotti sotto gli auspici UE e né lo status, né la partizione verrebbero presi in considerazione", ma, qualora Belgrado non dovesse accettare, "sarebbe posta in discussione l'integrazione europea del Paese".

Il problema è, insomma, capire cosa succederà dopo. C'è chi pensa che il parere dell'Icj potrebbe far ripartire i negoziati tra Belgrado e Pristina: in questo modo la prima tenterebbe di "salvare il salvabile" (magari con un riconosciuta autonomia amministrativa per il nord kosovaro a maggioranza serba), mentre la seconda cercherebbe di mantenere il suo staus internazionale di Stato indipendente e sovrano, magari anche con l'arrivo di qualche nuovo riconoscimento. E' sempre presente, poi, l'ipotesi della partizione attraverso uno scambio di territori: in cambio del nord del Kosovo, a maggioranza serba, Belgrado cederebbe a Pristina la valle di Presevo, nella Serbia meridionale, a maggioranza albanese. Ma l'idea, almeno ufficialmente, non piace alla Comunità internazionale, la quale avrebbe già adottato la formula della partizione "de facto" ma non "de jure" per non far andare all'aria il complesso puzzle che si cerca di comporre nei Balcani. Il tentativo è quello di fare in modo che, dalle guerra, al protettorato internazionale, alla dichiarazione di indipendenza, alla decisione dell'Icj e oltre, il caso kosovaro resti un'eccezione e non diventi un precedente per il diritto internazionale.

sabato 3 luglio 2010

CONTRO TUTTI I TOTALITARISMI

Cinque mesi di carcere per aver definito "talebani" gli intellettuali che fomentarono l'odio che portò alle guerre jugoslave degli anni '90: è la sentenza emessa qualche settimana fa dalla corte suprema croata contro Predrag Matvejevic, condannato per un vero e proprio reato di opinione o, per dirla con lui stesso, per "reato di metafora". Una sentenza tanto più sconcertante perché emessa da un Paese che sta per diventare membro dell'Unione Europea e che colpisce una delle intelligenze europee più lucide, che da sempre ha denunciato e smascherato gli inganni e le falsità della retorica prima del titoismo, poi delle "democrature" (miscuglio di democrazie e dittature) nate dopo il crollo del muro di Berlino e infine del nazionalismo etnico che ha portato alla tragedia delle guerre jugoslave degli anni '90.

Predrag Matvejevic, scrive Claudio Magris nella prefazione a Breviario mediterraneo, "è in primo luogo un protagonista del dibattito intellettuale contemporaneo [...] è la voce di una critica ispirata al marxismo e alle istanze rivoluzionarie, ma scevra di ogni ortodossia e di ogni dogma ideologico [...] Matvejevic ha rimeditato a fondo e rinnovato con grande originalità la concezione sartriana dell'engagement e si è inserito con indiscussa autorità nel dibattito internazionale sull'impegno e la libertà della letteratura". Matvejevic, prosegue Magris, "con la sua cultura cosmopolita, la sua signorilità intellettuale - e la sua dialiettica di vicinanza-lontananza alla vita, alla storia e alle cose - difende la soggettività senza abdicare all'universalità, resiste al totalitarismo senza perdere di vista una prospettiva globale della realtà". E tuttavia, "combattendo contro lo stalinismo e contro tutti gli stalinismi ossia contro tutte le formule e le concezioni totalizzanti, Matvejevic ha anche esorcizzato e smascherato il pericolo opposto e complementare [...] e cioè il particolarismo esasperato e la dispersione molecolare [...] mettendo così in guardia contro ogni ossessiva, viscerale, atomistica esaltazione della propria identità e della propria immediatezza".

Ho intervistato Predrag Matvejevic nei giorni scorsi. A partire dalla sua vicenda personale, con la consueta disponibilità e semplicità, il grande scrittore e intellettuale mi ha parlato dello stato delle democrazie dell'est europeo, delle conseguenze lasciate dai conflitti etnici nei Balcani, della crisi dell'Unione Europea e della politica che quasi ovunque sembra ormai aver smarrito ogni legame con la cultura.

L'intervista è disponibile sul sito di Radio Radicale oppure oppure è ascoltabile direttamente qui

PASSAGGIO SPECIALE - LA CINA NEI BALCANI

Lo Speciale di Passaggio a Sud Est di mercoledì 30 giugno è stato dedicato alla penetrazione cinese nei Balcani. La presenza cinese nell'area è una realtà consolidata ormai da tempo. C'è l'amicizia di lunga data con la Serbia, che ha avuto un impulso nell'ultimo anno grazie a importanti accordi economici, c'è l'arrivo in Grecia, favorito ultimamente dalla pesante crisi economica che il Paese sta subendo, c'è la ricerca di un partenariato con un'altro importante attore regionale come la Croazia, e c'è infine l'offerta di investimenti a Paesi, come Albania e Macedonia, bisognosi di infrastrutture. Resta da capire se l'interesse cinese è solo economico o anche politico. Quasi certamente sono vere entrambe le cose e alla Cina, dal secondo punto di vista, potrebbe interessare molto l'integrazione europea dei Balcani perché in questo modo si troverebbe ad essere un partner di primaria importanza di Paesi membri dell'Ue.

La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è disponibile sul sito di Radio Radicale, oppure direttamente qui

venerdì 2 luglio 2010

I BALCANI E L'EUROPA A SARAJEVO

Questo articolo, dedicato ad un bilancio del vertice Ue/Balcani occidentali svoltosi il 2 giugno a Sarajevo è pubblicato anche sul numero di luglio di Interprete Internazionale in edicola oggi con Il Riformista

Impegno e responsabilità: così il ministro degli Esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, presidente di turno dell'Ue, ha sintetizzato l'esito del vertice Ue/Balcani occidentali tenutosi a Sarajevo il 2 giugno, mentre il commissario europeo Stefan Fuele ha parlato di una nuova fase del processo di allargamento dell'Ue. Nella dichiarazione finale l'Unione conferma l'impegno per l'integrazione dei Balcani occidentali, sollecita i Paesi della regione a completare le riforme e indica loro le tre sfide principali da affrontare: implementazione di un vero stato di diritto, riforme amministrative e giuridiche, lotta contro corruzione e crimine organizzato. L'Ue promette, inoltre, il suo aiuto per superare la crisi economica favorendo uno sviluppo economico sostenibile. La dichiarazione sottolinea anche l'importanza della cooperazione regionale per completare il processo di riconciliazione. Tre, infine, gli impegni indicati da Moratinos: il primo per l'Ue, perché sostenga il processo di integrazione, il secondo per i Paesi della regione, perché proseguano nelle riforme necessarie, il terzo per la comunità internazionale nel suo complesso. L'ottimismo di circostanza non nasconde, però, che dieci anni dopo il vertice di Zagabria, che per la prima volta indicò la prospettiva dell'integrazione europea alla regione appena uscita da conflitti sanguinosi e devastanti, l'Ue si limita a ribadire che quell'obiettivo resta valido. Non è molto.

Sarebbe però sbagliato liquidare il vertice come un'occasione persa: nonostante i limiti, il summit è stato un successo da diversi punti di vista. Quello maggiore è certamente l'essere riusciti per la prima volta a riunire allo stesso tavolo tutti i paesi della regione, compresi Serbia e Kosovo, seppure con una soluzione di compromesso. E' importante, inoltre, che l'Ue abbia confermato la prospettiva dell'integrazione per i Balcani occidentali, così come il fatto stesso che il vertice si sia tenuto, nonostante la crisi, e si sia svolto proprio ora, dopo che negli ultimi mesi dalla regione sono venuti molti segnali incoraggianti. Anche la scelta di Sarajevo è significativa e sarebbe ingiusto liquidarla come una operazione di immagine. Infine, la partecipazione ufficiale della Turchia: un riconoscimento del ruolo svolto soprattutto negli ultimi mesi per la stabilizzazione e la pacificazione dei Balcani grazie ai suoi legami storici e culturali. Forse l’iniziativa turca non è del tutto autonoma, ma ispirata dagli Usa: di certo è guardata con interesse sia a Washington che a Bruxelles, senza contare che Ankara consolida le sue ambizioni di potenza regionale e guadagna punti nel negoziato di adesione all'Unione Europea.

In conclusione, novità importanti da Sarajevo non sono venute e nessuno se le aspettava: l’Ue, in questo momento di crisi, ai paesi balcanici non può offrire altro che la promessa della loro adesione. Tuttavia, avrebbe dovuto fugare il sospetto che non intende accelerare in questa direzione. Una prospettiva di integrazione indefinita nei tempi e nei modi finisce per offrire incentivi troppo deboli alle classi dirigenti dei paesi interessati che dovranno attuare riforme difficili e complesse, in qualche caso anche impopolari, e rischia di deludere profondamente le popolazioni che quelle riforme dovranno accettare. L'indecisione e le difficoltà a definire un percorso preciso per l’integrazione dei Balcani dipendono certo dalla crisi interna dell'Ue e dalla congiuntura internazionale, ma questo non può essere un alibi. I Ventisette non possono pensare di eludere il nodo balcanico all'infinito. L'Ue deve ancorare la promessa dell'integrazione a fatti concreti altrimenti, senza date certe e obiettivi chiari, il rischio è che i Balcani voltino le spalle all'Europa e preferiscano guardare in un'altra direzione: gli interlocutori interessati non mancano e le occasioni nemmeno.
 

giovedì 1 luglio 2010

SREBRENICA, 15 ANNI DOPO


A Srebrenica, in Bosnia, nel luglio del 1995 militari e paramilitari serbo-bosniaci al comando del generale Ratko Mladic compirono il peggior massacro in Europa dalla fine della 2a guerra mondiale, un crimine di guerra qualificato dalla giustizia internazionale come "genocidio". Srebrenica, insieme ad altre località, era stata dichiarata "zona protetta" dall'Onu, ma si trasformò in una trappola mortale anche a causa dell'ignavia della comunità internazionale, dei ritardi e delle indecisioni (per non dire peggio) dell'Unprofor e, in alcuni casi, della vera e propria complicità dei "caschi blu". Da allora sono passati quindici anni.


Con Andrea Rossini di Osservatorio Balcani e Caucaso, autore dei documentari "Europa, Srebrenica" (1999) e "Dopo Srebrenica. La memoria, il presente" (2005) ho parlato di cosa rappresenta Srebrenica oggi alla luce dell'evoluzione della situazione nei Balcani, ma anche dei processi e delle sentenze del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia. L'intervista è disponibile sul sito di Radio Radicale oppure direttamente qui




Quindici anni dopo è ancora difficile parlare di dialogo e convivenza a Srebrenica, ma c'è che lavora ogni giorno perché dall'elaborazione del passato possa nascere una possibilità di futuro. Da questa speranza nasce il progetto "Adopt Srebrenica" promosso dalla Fondazione Alexander Langer e dall'associazione Tuzlanska Amica del quale ho parlato con Edi Rabini, da sempre attivo nell'ambito del dialogo interculturale, già collaboratore di Alexander Langer e animatore della Fondazione che porta il suo nome oltre che del progetto per Srebrenica. L'intervista la potete ascoltare sul sito di Radio Radicale oppure qui




Entrambe le interviste saranno proposte anche in una trasmissione speciale su Srebrenica che Radio Radicale manderà in onda l'11 luglio. Il programma che ho preparato proporrà anche testimonianze, riflessioni e documenti sonori di quei giorni tratti dall'archivio di Radio Radicale e da altre fonti.